Sede sussidiaria: Il Monastero di S. Agostino

La nuova sede

S. Agostino, pregevole monumento cinquecentesco, con S. Sisto forse il più grande monastero piacentino, è chiuso tra lo Stradone Farnese e il Passeggio Pubblico e tra via Giordani e il parcheggio comunale nell’area della Cavallerizza.

Nel film-documentario A memoria d’uomo. L’Archivio di Stato di Piacenza si racconta, realizzato nel 2005, accennammo all’impossibilità di depositare altro materiale nell’Archivio di Stato in Palazzo Farnese, impossibilità che avrebbe impedito di programmare acquisizioni e interventi di largo respiro, così come di disporre di locali di pre-archivio e di laboratori, insomma di perseguire l’idea necessaria a Piacenza di “archivio della città”.

Per ovviarvi, la soluzione più semplice fu quella di cercare un immobile dismesso del demanio civile dello Stato, che fosse in uso governativo gratuito e in grado di accogliere progressivamente una sede più capiente e funzionale. La scelta effettuata nel 1999 fu quasi obbligata; in verità l’immobile più idoneo sembrò, di primo acchito, il palazzo Scotti di Sarmato in via del Castello (ex Distretto Militare), ma la prelazione esercitata da parte di un’amministrazione militare, anche se mai concretizzata, ci dirottò sul complesso agostiniano, vuoto e sicuramente bisognoso di attenzione. Immobile di grande prestigio e bellezza, ma anche di grandi dimensioni.

Il tentativo di realizzare prima di tutto dei depositi per allocare il materiale nuovo o eccedente, poi di trasferire tutto l’Archivio di Stato, ha incontrato molti ostacoli, ma il progetto ci ha preso anche perché si trattava di recuperare alla città uno spazio architettonico e ambientale straordinario, accanto alla più nota basilica e alla ex area ortiva (area e parcheggio comunali) dove ora si trovano residenze, esercizi commerciali (ad es. Eataly nella Cavallerizza), giardini e parcheggio sotterraneo pubblico.

E abbiamo scoperto anche curiose consonanze e coincidenze che confermano l’importanza dell’operazione. S. Agostino fino alla soppressione effettuata dai Francesi era un polo culturale d’assoluto rilievo: la sua Scuola, la sua Biblioteca e il suo Archivio spiccavano in città e gareggiavano con le istituzioni dei Gesuiti di S. Pietro, del Vescovato, del Collegio Alberoni, delle Accademie… E, al pari dell’edificio, la loro memoria non è del tutto dispersa, giacché c’imbattiamo ancora nei suoi lasciti: nella Biblioteca Civica in S. Pietro è confluita buona parte del patrimonio bibliografico messo all’asta all’atto della soppressione del 1798, nel Seminario Vescovile troviamo gli scaffali lignei superstiti della biblioteca conventuale, all’Opera Pia Alberoni rimane l’Archivio relativo ai numerosi beni posseduti nella zona di Cadeo (Cadè).

Dunque, accanto allo storico fulcro librario rappresentato dal convento di S. Pietro (Biblioteca comunale Passerini Landi), una porzione di questo monastero, ovvero l’intera ala est come si vede nella foto, sembra essere la sede ottimale per un polo archivistico, la sede dell’Archivio di Stato di Piacenza e degli archivi piacentini.

Da qualche anno un’altra istituzione è entrata nel compendio, la Caritas Diocesana di Piacenza – Bobbio che ha ottenuto in concessione l’area dietro la basilica (cortile n. 4 con stabili). Nel 2015 l’Agenzia del Demanio, dopo aver trasferito al Comune di Piacenza il Palazzo Farnese, ha ceduto alla Cassa Depositi e Prestiti Investimenti SGR la parte del monastero agostiniano non consegnata a questa amministrazione e alla Caritas Diocesana affinché la valorizzi. Il monastero risulta così diviso in tre proprietà: a est l’Archivio di Stato (area demaniale), a ovest la Caritas Diocesana (area demaniale), nel centro la CDPI (area privata). La basilica invece ha seguito un percorso leggermente diverso e più lungo impegnando l’Agenzia del Demanio e il Comune di Piacenza a cercare investitori su questo ed altri monumenti come la chiesa delle Benedettine e le mura farnesiane.

L’Amministrazione Archivistica dello Stato, pur in regime di grande scarsità di mezzi, si è impegnata sul grande complesso dello Stradone Farnese realizzando molti depositi, rifacendo i tetti e predisponendo cavidotti e impianti a servizio dell’intera stecca assegnata. Si tratta di non disperdere questa encomiabile intenzione e di non ritardarne le ricadute trascinandoci per anni e anni. C’è bisogno di un logico e omogeneo recupero, realizzabile nell’arco di 4-5 anni secondo il progetto concepito dall’Ufficio Gestione Sedi della Direzione Generale per gli Archivi del Mibact, presentato nel 2008 al Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali di Ferrara e approvato dal locale Comando dei Vigili del fuoco.

Per la conoscenza dello storico edificio, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2008 e 2009, sono stati immessi su Youtube i seguenti brani: a) Alla scoperta di S. Agostino prima parte  e b) Alla scoperta di S. Agostino seconda parte. Si segnala anche la pagina del blog Ripensando Piacenza.

Link al video realizzato dall’Archivio di Stato di Piacenza che documenta il trasferimento di alcuni serie documentali nei nuovi depositi della sede sussidiaria, regia di Enzo Latronico, montaggio e musiche originali di Franz Soprani.

Cenni storici e architettonici del compendio agostiniano

La storia del monastero di S. Agostino, facente parte, con la chiesa e gli orti, di quel che nell’Ottocento era appellato quartiere S. Agostino, è legata a uno degli ordini monastici più accreditati, i Canonici Regolari Lateranensi, ispirati agli scritti del dottore della Chiesa Agostino (sec. IV). Nel 1439 furono incaricati da Eugenio IV di riformare a Roma il convento di S. Giovanni in Laterano, da cui ottennero il titolo. S’insediarono nel 1431 a Piacenza, rilevando il complesso di S. Benedetto e la chiesa di S. Marco, nell’area dell’Arsenale Militare. I due immobili furono, però, alienati e trasformati per la realizzazione del castello voluto da Pier Luigi Farnese (1547). I Lateranensi ottennero allora di poter demolire e ingrandire il convento di S. Giovanni e Paolo e il castello di S. Antonino posti sulla nuova Strada Farnesa. Nel corso dei due secoli successivi, essi acquisirono prestigio e dotazioni per la loro fondazione, legandosi nel Settecento a certa cultura riformatrice, nel campo religioso e dell’istruzione, espletata nella loro scuola – collegio. Nel monastero, c’era una cappella musicale e un maestro dedito soprattutto all’esecuzione di funzioni musicali nelle maggiori ricorrenze, con un numeroso concorso di musicisti.

La chiesa subì danni già nel primo XVIII secolo poiché utilizzata – assieme a S. Sepolcro – come ospedale militare nelle guerre di Successione polacca e austriaca (1734, 1746) e, infine, nel 1796 coi Francesi. Nel 1798 l’Ordine dei Lateranensi fu soppresso: nell’agosto dello stesso anno nel monastero erano presenti 19 fra canonici e conversi. L’intero complesso entrò nel prestito forzoso dovuto dal duca Ferdinando ai Francesi, ben 20 milioni di lire di Parma, divisa estesa anche a Piacenza sul finire del Settecento. Per farvi fronte, i beni ecclesiastici confiscati da Napoleone sarebbero stati liquidati dal duca vendendoli a privati. Così successe per i beni dei Lateranensi (S. Agostino e S. Sepolcro) senz’altro tra i meglio amministrati dell’asse ecclesiastico. Anche arredi, libri e oggetti d’arte furono messi all’asta, mentre, in parte, reperti archeologici e monete – collezionati dal canonico Chiappini – confluirono nel Museo Reale di Parma. C’è da dire che la biblioteca era una delle più fornite della città e fu stimata affrettatamente, nel 1799, per un valore di 78.400 lire. Essa s’era accresciuta, nella prima metà del sec. XVIII, per opera di Alessandro Chiappini, scopritore della cronaca manoscritta dei da Ripalta, amico e collaboratore di Muratori. Risulta che parte degli splendidi scaffali si trovano nella biblioteca del Seminario Vescovile di via Scalabrini, mentre parte dell’archivio patrimoniale (almeno quello relativo ai beni di Cadeo comprati dal Collegio) è conservato presso il Collegio Alberoni di S. Lazzaro. Nella parrocchiale dell’ex comune foraneo è altresì conservato un dipinto di Ludovico Carracci appartenuto alla chiesa agostiniana.

Per l’immobile, il duca favorì l’Ospedale di Parma, meno dotato di quello di Piacenza, che ne entrò in possesso; nel 1828 fu comprato per metà dal Comune di Piacenza e per metà dagli Anguissola Scotti i quali, vent’anni dopo, lo cedettero a Domenico Baldini che, addirittura, voleva demolire la sua parte. Nel frattempo alcuni locali del monastero ospitarono un collegio per l’educazione delle giovani di buona famiglia, un asilo d’infanzia e degli uffici della Camera di Commercio fino a quando vennero sgombrati per attrezzarli a ospedale per i colpiti dal colera del 1854-1855 e per le vicende belliche del 1859. Il Comune l’acquistò tutto nel 1856 e lo passò, col Foro Boario di via della Maddalena, al Governo nel 1863 in cambio della chiesa S. Franca (oggi Teatro dei Filodrammatici), del collegio (oggi Biblioteca Passerini Landi) e della chiesa di S. Pietro. Il destino di S. Agostino fu lungamente, fino ai primi anni Novanta del secolo scorso, quello di caserma dell’Esercito e sede dell’Ufficio di Leva. L’edificio detto della Cavallerizza e le casermette nell’area degli orti di S. Agostino, oltre ai fabbricati verso Via Giordani, furono costruiti nei primi anni assieme all’Ospedale Militare poco distante e alla nuova Caserma Reale in Piazza Cittadella. L’accordo del 1863 rappresenta, alla luce degli stretti rapporti fra gli enti locali e il Ministero della Guerra, uno snodo fondamentale per le vicende amministrative e urbanistiche della città tanto che Piacenza divenne sede del Comando generale della V Divisione. Non solo, la piazza di Piacenza fu dal 1877 al 1888 sede del IV Corpo d’Armata poi spostato a Genova.

Nel 1890 si legge della «Gran Caserma S. Agostino, colla antica chiesa, ed orto annesso, ove sono costruite scuderie, tettoie e maneggio coperto per stanza di un Reggimento di artiglieria» (Atlante storico geografico piacentino, rist. anast., Cassa di risparmio di Piacenza e Vigevano, 1992. Ripr. facs. di Vocabolario corografico-geologico storico della provincia di Piacenza / del Cav. Guglielmo Della Cella, Piacenza, Bertola, 1890, a p. 96). L’Esercito intitolò la caserma dello Stradone Farnese a Ferdinando di Savoia, il figlio di Carlo Alberto medaglia d’oro al valore militare nel 1848, morto prematuramente nel 1855. Dopo la Grande Guerra l’intitolazione passò ad un’altra medaglia aurea, il generale Antonio Tommaso Cantore deceduto nelle Tofane nel 1915. La caserma era sede del 21° Reggimento di artiglieria di campagna che utilizzò anche la basilica per tenervi pezzi da fuoco e carriaggi; nel 1941 si insediò il 121° Reggimento di artiglieria contraerea leggera. Nel dopoguerra la caserma cominciò a perdere d’importanza, era adibita a Deposito Misto della Sussistenza Militare, ovvero di parte del vettovagliamento delle truppe di stanza a Piacenza, e ospitava materiale bellico e automezzi mentre, dal 1951 al 1974, il VI Reggimento di artiglieria di campagna fu acquartierato nella Caserma Lusignani di S. Antonio a Trebbia.
L’area complessiva di S. Agostino fu divisa alla fine del secolo scorso fra il demanio dello Stato e quello del Comune di Piacenza che acquisì l’area detta della Cavallerizza ad est del convento (ex orti del Monastero ed ex casermette dell’Esercito) ora zona commerciale e amministrativa (Eataly ecc.), ricreativa (CAI ecc.) e pubblica (parcheggio e giardino). A parte le proprietà demaniali rimaste dell’ex Chiesa di S. Agostino e dell’Archivio di Stato il resto del compendio agostiniano (ex caserma Cantore) è ora di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti, che ne ha ceduto parte in affitto alla Caritas diocesana.

La costruzione del monastero e della chiesa di S. Agostino va dal 1550, data del progetto, al 1573. In particolare, la chiesa fu cominciata nel 1570 e terminata nel 1608, quando il cenobio era già funzionante; nel 1792 si sostituì la facciata cinquecentesca con una grandiosa fronte d’impronta palladiana eretta dal romagnolo Camillo Morigia, vincitore del concorso indetto dall’Accademia di belle arti di Parma.
Nel suo Journal du voyage en Italie, Montaigne alla fine del Cinquecento, descrive la canonica di S. Agostino come la più grandiosa delle esistenti allora in Italia. In effetti essa si articola in tre chiostri: un primo rettangolare d’ingresso, uno centrale quadrato di 43 ml di lato (il meglio conservato) e un altro della stessa grandezza, ricostruito nel lato sud dov’era il refettorio distrutto contenente un grande affresco del Lomazzo (1567).

I loggiati in stile dorico, in gran parte tamponati, sono a pilastro e semicolonne nell’ordine inferiore e in quello superiore presentano loggette a bifora in stile ionico. Tra le parti salienti si notano: finestre con loggetta a serliana ossia a trifora soprastante 4 colonnine (vedi il bel finestrone sul lato est davanti al parcheggio); grandi corridoi centrali, il principale dei quali, ora manipolato, che s’affacciava al piano terra verso l’orto, era detto “della prospettiva”; scala ellissoidale con gradini a incasso sul lato ovest. In molte zone in effetti, in particolare nei locali terreni prospicienti il cortile a sud, le modificazioni sono state notevoli poiché erano utilizzati come magazzini, cucine ecc.
Da rilevare che i paracarri (colonnelli) situati davanti al complesso sono della stessa epoca, mentre i restanti dello Stradone Farnese vennero posati nel 1739.

Per quanto riguarda gli arredi superstiti si possono citare l’altare maggiore e alcune strutture marmoree delle cappelle laterali che si trovano nella chiesa parrocchiale di Rivergaro. Sono inoltre esposti nei Musei Civici la grande fontana del Mosè, una statua lignea di S. Agostino del XVIII secolo e una bella porta in legno intagliato di epoca rinascimentale; nella chiesa piacentina di San Giovanni in Canale sono presenti 18 stalli lignei provenienti dal refettorio. Nel refettorio si trovava anche un vasto affresco di 60 mq. di Giovanni Paolo Lomazzo, con la rappresentazione della Cena quadragesimale, purtroppo perduto in seguito ai bombardamenti del gennaio del 1945.

Pagina creata da Gian Paolo Bulla, 2010

Ultimo aggiornamento

5 Febbraio 2024, 12:41