Storie di casa: Negli archivi storici delle famiglie piacentine

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Convegno di studi promosso da: Archivio di Stato di Piacenza; Soprintendenza Archivistica per l’Emilia Romagna; Fondazione di Piacenza e Vigevano e patrocinato da: Regione Emilia Romagna-Soprintendenza per i Beni librari e documentari; Provincia di Piacenza; Comune di Piacenza

Piacenza, Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, Via S. Eufemia 12

Venerdì 12 aprile 2002

Saluto di GIAN PAOLO BULLA, direttore dell’Archivio di Stato di Piacenza

Saluto e ringrazio tutti i numerosi presenti, anche a nome della Soprintendente Euride Fregni che ci raggiungerà tra poco e che presiederà la seduta pomeridiana. Ringrazio la Fondazione, le Autorità patrocinanti (che tra poco formuleranno il loro saluto), le altre Autorità presenti; un grazie particolare, concedetemelo, nel merito a: proprietari degli archivi storici familiari, archivisti, studiosi, associazioni di storia locale (Deputazione di Storia Patria di Parma e Piacenza, Amici del Bollettino Storico Piacentino, Istituto Storico del Risorgimento) che s’interessano delle fonti documentarie per la storia moderna. Ringrazio coloro che ci hanno aiutato materialmente: funzionari della Fondazione, la dottoressa Cametti e gli altri impiegati dell’Archivio di Stato di Piacenza.

Gli atti del convegno saranno pubblicati in un numero monografico del Bollettino Storico Piacentino del 2003, della qual cosa si ringrazia sentitamente l’Associazione Amici del Bollettino Storico Piacentino proprietaria della prestigiosa testata.

L’idea del convegno non è recente e viene dopo un’intensa attività svolta, dalla Soprintendenza Archivistica e dall’Archivio di Stato coi miei predecessori, per individuare e valorizzare gli archivi storici di famiglie e persone, in collaborazione con studiosi e associazioni culturali locali. Alla conclusione di alcuni interventi, che in parte saranno illustrati nel convegno, ci sembra giusto fare il punto circa questa specifica categoria dei beni archivistici privati, la quale, per dimensioni e quantità è di primaria importanza, soprattutto nel Piacentino. Il convegno vuole attestare il loro ruolo di fonti per la storia locale, esponendo i lavori archivistici veri e propri e i percorsi di studio che si possono aprire. Relazioneranno docenti universitari, archivisti di Stato, archivisti e studiosi che hanno lavorato sopra singoli fondi gentilizi e privati. Al nome delle illustri casate piacentine e ai loro vari rami (Anguissola, Landi, Scotti, Arcelli, Sforza, Cigala Fulgosi, Barattieri, Marazzani Visconti, Paveri Fontana, Casati Rollieri, Nicelli ecc.) sono legati castelli, rocche, ville e palazzi di città in cui, specialmente nel Settecento, investirono capitali accumulati con la rivalutazione delle rendite agrarie e con l’acquisto dei fondi ecclesiastici alienati. A testimonianza del loro fulgore e del loro ruolo nella società, rimangono proprio gli archivi verso i quali si è orientata da tempo la ricerca storica, alla scoperta di mentalità, costumi, consumi, attività economica e sociale dei ceti dirigenti locali.

La parola, per un breve saluto, va prima ai rappresentanti degli Enti: Comune di Piacenza (Sindaco avv. Gianguido Guidotti), Provincia di Piacenza (assessore prof. Vittorio Anelli), Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia Romagna (dott.ssa Rosaria Campioni), Diocesi di Piacenza-Bobbio (mons. Domenico Ponzini). Indi passeremo alle relazioni e alle comunicazioni.

 
 
Abstract della relazione di ELENA RIVA, Percorsi di ricerca tra le fonti archivistiche di famiglia

La maggior parte degli archivi di famiglia è destinata, per definizione, a svolgere l’importante compito di salvaguardare e ricostruire la memoria e l’identità di un particolare gruppo familiare; di conseguenza basare una ricerca su questo genere di documenti consente di cogliere ‘dal di dentro’ le modalità con cui un casato si rappresenta, sia nel privato che nel pubblico, e viene riconosciuto dalla società di cui fa parte. Tuttavia visto che il destino delle carte corrisponde spesso a quello degli individui che le hanno create, ed è quindi sottoposto a selezioni, trasformazioni, smembramenti e divisioni, è naturale che nello studio delle famiglie realizzato sulla base degli archivi privati occorra tenere presente gli elementi della casualità e della eventuale mobilità dei documenti, che possono di conseguenza mutare, talvolta anche significativamente, ciò che è avvenuto nella realtà, e non consentire sempre la ‘modellizzazione’ della storia delle famiglie. Per tale ragione, quando le carte lo consentono per quantità e qualità, è necessario contestualizzare la storia dei gruppi familiari, articolandola su più livelli: la storia delle persone, con le loro vicende matrimoniali e patrimoniali, i conflitti interni; il rapporto con i luoghi e la società in cui vivono; il legame con il potere e la vita pubblica, soprattutto se si tratta di famiglie aristocratiche. Le carte private di cui si parlerà nelle pagine che seguono consentono appunto un tale approccio metodologico.

Il tema nodale, quindi, sarà quello della relazione tra i modi di formazione di un archivio di famiglia, l’immagine che della stessa famiglia si configura attraverso l’archivio e la lettura dello storico. In quest’ottica è importante evidenziare come ineludibile sia l’indagine sulla fase costitutiva dell’archivio, sulle esigenze che l’hanno animata, sulla tipologia delle carte.

La domanda iniziale verterà sul “bisogno di scrivere” che, come suggerisce un’ormai abbondante storiografia, si dilatò enormemente, sia a livello della sfera pubblica che di quella privata, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, sotto l’impulso di una macchina statale sempre più complessa e di una società sempre più articolata nella quale l’esigenza di una maggiore comunicazione interpersonale si faceva sempre più impellente, facendo proprio della famiglia il suo primo cerchio di applicazione, realizzata attraverso gli epistolari, le autobiografie, le istruzioni e così via. Lo scopo sarà quello di capire quali logiche politiche, economiche e sociali stanno dietro la formazione degli archivi familiari.

A tale proposito, interessante potrà risultare il confronto fra gli archivi di alcune famiglie aristocratiche lombarde e alcuni di quelli dell’aristocrazia piacentina in età moderna, soprattutto tenendo conto del fatto che le due regioni vivono percorsi storici differenti. Mentre in Lombardia le élites devono fare i conti con una secolare dominazione straniera e con l’assenza di una corte principesca locale che funga da catalizzatore di carriere e di prestigio, nel Piacentino la presenza di una dinastia e di uno ‘stato’ costringerà le aristocrazie locali a muoversi secondo logiche differenti e che la composizione degli archivi familiari potrà aiutare a comprendere.

Elena Riva, ricercatrice di storia moderna presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Attualmente è professore incaricato di storia moderna e contemporanea presso la stessa Facoltà e collabora con la cattedra di storia moderna (prof. Cesare Mozzarelli). Ha scritto diversi articoli sul tema dell’aristocrazia nell’età moderna, in particolare lombarda, e su argomenti di storia politico-istituzionale cinque-settecentesca.

 
 
Abstract della relazione di DANIELA MORSIA, Società e cultura negli archivi familiari piacentini

E’ sicuramente rilevante cogliere alcune linee, interessi, strategie culturali, sociali ed economiche emergenti dalla fisionomia degli archivi privati piacentini, per lo più nobiliari, preziose lenti di ingrandimento per mettere a fuoco la presenza dei diversi segnali eterodossi di una società, quella piacentina, che andò modificando nei secoli i propri confini e le stratificazioni interne. L’analisi di materiale documentale estremamente eterogeneo permettono di individuare alcune linee ricorrenti ed alcuni elementi immediatamente evidenti. I diplomi di nobiltà, i giornali dei conti, le licenze di caccia, le mappe dei fondi rustici, ma anche le ricevute dei pagamenti del palco a teatro o dell’abbonamento ad una rivista molto ci dicono delle famiglie nobiliari, delle relazioni intrattenute con il potere politico, dell’aggregazione sociale ed accademica, delle modalità culturali, della natura e specificità della proprietà fondiaria. La formazione di questi archivi era legata quasi esclusivamente all’amministrazione dei patrimoni, soprattutto terrieri, ma la lettura dei documenti è utilissima per la ricostruzione della storia delle famiglie e della società. I punti salienti emersi sono i seguenti.

a) Evoluzione del processo delle nobilitazioni ed importanza delle strategie patrimoniali-ereditarie.

b) Processo di promozione sociale, particolarmente rilevante nel Sei-Settecento.

c) Confronto tra vecchia e nuova nobiltà. Se nel Cinquecento tale confronto si misurò sul terreno delle istituzioni cittadine, tra Sei e Settecento si spostò nell’area della “vistosità dei costumi”. Furono in particolare il palazzo di città e la villa di campagna a divenire i simboli distintivi e i pilastri importanti di una visione del mondo apologetica dell’equilibrio economico, politico e sociale, costituendo peraltro anche il polo del circuito urbano-agrario che siglò l’evoluzione dell’economia piacentina in età moderna. E se Piacenza alla fine del Seicento era ancora una città di edifici pubblici, alla fine del Settecento divenne una città di palazzi privati. Gli inventari dei beni delle famiglie piacentine permettono poi di ricostruire tutta una precisa mappatura di “segni di distinzione sociale”: dall’arredamento di case in cui si registrò, a partire della fine del Seicento, una progressiva diversificazione degli ambienti, allo sfarzo delle decorazioni agli ornamenti alla persona.

d) Vita sociale. La caccia, il ballo, gli spettacoli teatrali, l’ascolto e l’esecuzione di musiche, le passeggiate, la conversazione di salotto, le celebrazioni di corte: erano tutte queste occasioni per sfoggiare costumi vistosi, ma anche per sottolineare la condizione di libertà rispetto al lavoro produttivo.

e). Rete di relazioni con altre aree padane. I contatti si muovevano soprattutto sull’asse Bologna-Modena-Ferrara, ma con aperture progressive, soprattutto nel secolo XVIII, verso Milano e Pavia.

f) Gestione dei fondi. Attraverso le maglie di una contabilità spesso di non facile lettura, emerge il profilo di una classe aristocratica che non fu certo assenteista, anche se resta aperto il problema di quanto la gestione fosse volta ad aumentare la produttività dei terreni o non piuttosto s’accontentasse di estendere il coltivo per aumentare la produzione agricola globale.

g) Vita culturale. Due sono i livelli di lettura: le Accademie e le biblioteche private. Le Accademie, a netta prevalenza nobiliare ed ecclesiastica) furono improntate all’esercizio della poesia d’occasione e celebrativa. Le modalità di scelte culturali si riflettono nei titoli delle biblioteche, i cui nuclei principali erano di solito quello religioso, quello storico e quello letterario, per lo più formato da classici latini, aprendosi, alla fine del Settecento, alle proposte della cultura europea, con una nuova attenzione alla questione gesuitica, al conflitto giurisdizionalistico e alla scienza sperimentale.

Daniela Morsia, laureata in storia indirizzo contemporaneo presso l’Università degli Studi di Bologna. Si occupa da un decennio di storia moderna e contemporanea con particolare riferimento alla storia del movimento operaio e della cooperazione. Ricercatrice e pubblicista collabora con testate di periodici e quotidiani locali. Ha vinto per tre anni il premio “Francesco Battaglia” per ricerche di storia economica, promosso dalla Banca di Piacenza.

 
 
Abstract della relazione di GUSTAVO DI GROPELLO e di CARLO EMANUELE MANFREDI, Un’eredità di carte: archivi storici presso le famiglie piacentine

Oggetto della presente indagine sono quegli archivi gentilizi piacentini tuttora conservati dai discendenti delle rispettive famiglie nelle residenze private delle stesse, archivi per lo più scarsamente conosciuti dagli studiosi o addirittura del tutto sconosciuti.

L’indagine effettuata in maniera capillare giovandosi delle conoscenze personali, ha consentito di individuare un buon numero di archivi – alcuni dei quali di notevole importanza storica e di ingente consistenza – per i quali è stato possibile redarre delle schede informative con i dati principali riguardanti ciascun fondo documentario.

Ogni scheda presenta m forma necessariamente concisa ciascun archivio individuato, fornendo:

– sintetico cenno storico della famiglia;

– attuale ubicazione dell’archivio;

– consistenza del fondo documentario (Numero Faldoni, Filze, Mazzi ecc. oppure approssimativa metratura in caso di materiale archivistico disordinato, estremi cronologici);

– stato di conservazione ed ordinamento;

– citazione di altri fondi archivistici confluiti.

Va precisato che la presente ricerca non si è proposto di presentare altro che un elenco di fondi archivistici gentilizi tuttora conservati in mano privata, dando le indicazioni di cui sopra onde fornire solo informazioni di larga massima, utili tuttavia a segnalare l’importanza e l’ubicazione dei fondi stessi oltre agli altri dati principali accennati.

Gustavo di Gropello e Carlo Emanuele Manfredi sono soci ordinari della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi. Hanno collaborato, con altri studiosi, alla realizzazione di una importante opera sui ceti dirigenti piacentini nei secoli scorsi, che è stata pubblicata nel 1979 con il titolo Le antiche famiglie di Piacenza e i loro stemmi; di tale volume hanno curato, in particolare, la parte introduttiva che ha poi costituito una pubblicazione a se stante. Hanno poi collaborato con il Centro Studi Europa delle Corti in occasione del convegno di studi sui Farnese, tenutosi a Piacenza nel 1994, presentando una ricerca sulla nobiltà piacentina nella Corte e nell’esercito farnesiani.

Manfredi per trent’anni ha diretto la Biblioteca Comunale di Piacenza, mentre di Gropello proviene da esperienze professionali di tipo manageriale industriale, ma, legato a Piacenza per matrimonio, si è sempre interessato della storia locale piacentina, in particolare del fondatore dell’Istituto Gazzola, il Conte Generale Felice Gazzola.
 
 
 
Abstract della relazione di ANNA RIVA, L’archivio della casa Anguissola di Vigolzone nell’Archivio di Stato di Piacenza

L’archivio Anguissola di Vigolzone è stato depositato, tre anni fa, nell’Archivio di Stato di Piacenza dai fratelli Carlo e Costanzo Anguissola. Esso fu conservato fino al primo dopoguerra nel castello di Vigolzone che fu venduto ai Landi; forse subì manomissioni in tempo di guerra quando il castello fu requisito dal comando tedesco. Al suo arrivo il materiale era suddiviso, in modo casuale, in cassette di legno e di cartone di fattura tardosettecentesca in pessimo stato di conservazione; venne effettuata immediatamente la disinfestazione del materiale cartaceo e delle cassette. Dopo un’attenta ricognizione di tutta la documentazione, tra cui sono stati ritrovati due repertori tardosettecenteschi, si è proceduto al riordino che è avvenuto tenendo conto del precedente intervento della seconda metà del XVIII secolo e delle successive acquisizioni nei secoli XIX e XX. Sulla base degli antichi inventari e delle antiche segnature è stato ricostruito, fin dove possibile, il contenuto delle antiche cassette. Per la realizzazione dell’inventario finale, in forma sommaria, è stato messo a punto un database in Access.

Lo studio di tutte le carte ha permesso di stabilire che nell’archivio Anguissola ci sono atti del monastero di San Sepolcro (1132-1838) di cui gli Anguissola furono enfiteuti, atti dell’archivio Guarnieri Passerini (1611-1878) e atti della Congregazione della Dottrina Cristiana di Santa Maria in Cortina (1768-1804).

L’intero fondo è costituito da 209 tra buste e cassette, per un totale di 21 metri lineari, dal 1303 al 1960. Le serie sono le seguenti:

a) Cassette antiche (141 cassette)

b) Decime per località (17 buste)

c) Instrumenti disgiunti dalla loro serie (35 buste)

d) Materiale scolastico o letterario manoscritto (3 buste)

e) Stampe (3 buste)

f) Archivi aggregati (7 buste).

Successive ricerche hanno permesso di stabilire che la parte più antica dell’archivio – pergamene e un registro di San Sepolcro – erano già pervenute all’Archivio di Stato oltre vent’anni fa; furono depositate nel 1979, provenienti dal Preventorio elioterapico “Monsignor Pancotti” di Justiano (Vigolzone) in qualità di erede del commendator Alberto Dosio. Su segnalazione di Gianpiero Fumi si è scoperto che un altro nucleo del materiale più antico è passato alla famiglia Visconti di Modrone tramite Fanny Visconti di Modrone (1805-1884) vedova al marchese Gaetano Anguissola di Grazzano ed è oggi custodito presso l’Università Cattolica di Milano. Sembrerebbe utile un progetto di inventariazione globale che, almeno sulla carta, riunisca i membra disiecta di uno dei più importanti archivi gentilizi del Piacentino.

Anna Riva svolge l’attività di archivista libero-professionista da una decina d’anni, e contemporaneamente s’interessa di storia della cultura medievale.

Ha riordinato diversi archivi ecclesiatici, famigliari e d’impresa. Ha lavorato per diversi anni nell’Archivio Capitolare della basilica di S. Antonino di Piacenza della quale ha ricostruito le vicende dell’antica scuola capitolare e della biblioteca, di cui ha fornito il catalogo. Collabora stabilmente con l’Archivio di Stato di Piacenza e con gli Archivi Storici Diocesani di Piacenza-Bobbio. Attualmente sta curando il riordinamento e l’inventariazione degli archivi parrocchiali dell’alta Val Trebbia – su incarico della Soprintendenza Archivistica per l’Emilia Romagna – e di alcune sezioni dell’archivio Visconti di Modrone per conto dell’Università Cattolica di Milano.

 
 
Abstract della relazione di Maria Rosaria Celli Giorgini, Documenti Petrucci, Barattieri e Anguissola nel fondo Malvezzi di Bologna


Nel 1960 la marchesa Gaiani Malvezzi Campeggi, vendette la rocca di Dozza nell’imolese con il suo contenuto di libri e documenti. Questi ultimi costituivano una parte dell’archivio della famiglia, il cui nucleo principale, conservato nel palazzo di città, fu depositato poi nel 1967 presso l’Archivio di Stato di Bologna. Una buona parte della documentazione imolese fu acquistata dal libraio Nanni di Bologna, che operò un ulteriore smembramento, trattenendo un certo numero di documenti e avviando al macero la restante documentazione cartacea. Il tempestivo intervento della Soprintendenza Archivistica per l’Emilia Romagna riuscì a scongiurare la distruzione del materiale cartaceo che, restituito dalla cartiera, fu dichiarato di notevole interesse storico ai sensi dell’art. 20 dell’abrogata legge 2006 del 1939.

Alla prima rilevazione dell’ispettrice il fondo denominato archivio Malvezzi Campeggi comprendeva 135 pezzi elencati promiscuamente: pergamene dei secoli XIV-XVI, registri cartacei, fascicoli e numerose carte sciolte, soprattutto del secolo XIX. Si trattava in sostanza di lacerti che non sembravano appartenere a un unico archivio familiare, ma erano frutto di successivi smembramenti di uno o più archivi gentilizi di cui occorreva stabilire esattamente la provenienza. Tale documentazione è rimasta praticamente per circa 40 anni presso la Libreria Nanni, fino a che, nel 1998-1999, è stato possibile finalmente riprendere le trattative e portare a termine l’acquisto, essendosi notevolmente ridimensionate le pretese del venditore.

Nell’occasione s’impose l’esigenza di un’esatta valutazione archivistica, oltre che contabile, che verificasse la provenienza delle carte e quindi l’archivio di destinazione. Se infatti da un lato non poteva certo essere messa in dubbio la provenienza dall’archivio Malvezzi Campeggi di Dozza, dall’altro lato, anche ad un primo superficiale esame delle carte, balzava evidente l’estraneità di queste alla famiglia Malvezzi Campeggi ed ai loro affari e possedimenti almeno fino alla prima metà del secolo XIX. Si trattava in realtà di lacerti provenienti dallo smembramento dell’archivio gentilizio della famiglia piacentina Petrucci Barattieri nel quale erano confluiti per via dotale o comunque per successioni inter vivos e mortis causa anche documenti Anguissola, Scotti di Sarmato, Pallastrelli e vari altri, tutti relativi a famiglie che, nel corso dei secoli, si erano imparentate con i Barattieri e successivamente con i Petrucci.

Ma l’aspetto più singolare e determinante dei documenti, ai fini della scelta archivistica operata dalla Soprintendente, era quello di essere fortemente “legati al territorio”. In altri termini, pur nell’estrema dispersione conseguita ai vari smembramenti di cui erano state oggetto le varie serie archivistiche, la documentazione superstite si riferiva alla gestione di beni prima feudali e poi allodiali nel piacentino, soprattutto alle località di Cimafava e di Veggiola. E il vincolo archivistico superstite era rappresentato in questo caso non tanto dal vincolo genealogico, come pure viene teorizzato in archivistica nel campo degli archivi privati, ma piuttosto dal vincolo potremmo dire archivistico territoriale, finalizzato alla gestione di un determinato territorio piuttosto che ascrivibili alle singole persone che quel territorio avevano posseduto e amministrato. Le carte erano state ordinate tenendo conto di ciò e così erano state trasmesse nei vari passaggi ereditari: questo era il vincolo che ancora tra esse sussisteva forte ed evidente. La documentazione risultava perciò estranea alla famiglia Malvezzi Campeggi, che aveva acquisito i beni cui si riferiva solo nel 1827, attraverso il matrimonio di Bianca Petrucci Barattieri con il marchese Emilio.

Constatato quindi che il vincolo genealogico era del tutto reciso, anche per una scelta operata dagli stessi Malvezzi Campeggi che avevano smembrato l’archivio tra due rami della famiglia, la decisione pur meditata della Soprintendenza archivistica ha privilegiato il vincolo tuttora esistente con il territorio di origine. Perciò la documentazione è stata assegnata all’Archivio di Stato di Piacenza piuttosto che a quello di Bologna, dove è tuttora depositato il vero e proprio archivio Malvezzi Campeggi, a cui le carte piacentine erano state forse aggregate per un breve periodo nell’800 per esserne successivamente separate.

Maria Rosaria Celli Giorgini è dirigente dell’Amministrazione Archivistica dello Stato, dove ha compiuto la sua carriera dirigendo, in Emilia Romagna, l’Archivio di Stato di Forlì, la Soprintendenza Archivistica e, da qualche anno, l’Archivio di Stato di Bologna.
 
 
 
Abstract della relazione di Enrico Angiolini, L’archivio Rangoni Machiavelli di Modena e il vescovo di Piacenza Claudio Rangoni


L’archivio privato Rangoni Machiavelli, tuttora conservato in Modena dagli eredi di questi illustri casati, si presenta come un deposito di straordinaria importanza storica ed archivistica, specchio fedele dei rilevantissimi ruoli di grandi feudatari, condottieri e titolari di incarichi pubblici ricoperti dai membri di questa famiglia fin dal pieno Medio Evo. Attualmente è oggetto di un intervento di ricognizione complessiva – condotto, oltre che da chi scrive, da Claudia Codeluppi e da Chiara Pulini, e coordinato dalla Soprintendenza Archivistica per l’Emilia Romagna, con la cordiale collaborazione della famiglia Rangoni Machiavelli – che ha già permesso di giungere ad una mappatura completa dell’esistente. L’archivio ha subito numerosi interventi di riordino e di riorganizzazione, a volte anche molto drastici, con almeno quattro distinte fasi ben riconoscibili tra pieno XVIII secolo e seconda metà del XX secolo; attualmente si presenta organizzato in quattro serie segnate: A (Corrispondenza, 711 buste), B (Miscellanea, 247 buste), C (Processi, 401 buste) e D (Amministrazione, 812 buste), per un totale di 2.171 buste contenenti atti e documenti a partire dal XIII secolo (tra cui centinaia di documenti membranacei), a cui si aggiungono ca. 90 m. l. di registri di contabilità ed amministrazione, principalmente del XVIII secolo. Queste quattro “serie” si sono già mostrate come una creazione tarda e sostanzialmente artificiale, contenendo documentazione della medesima provenienza arbitrariamente separata e non rendendo conto in maniera strutturata della confluenza in questo archivio di numerosi altri spezzoni d’archivio (da quelli relativi all’attività e al patrimonio delle famiglie Thiene e Boiardo per i feudi di Scandiano, a rami dei Gonzaga fino ai cardinali legati di Ferrara Donghi e Machiavelli).



È così che anche la ricerca specifica per ricostruire la figura di uno dei membri più illustri, quel Claudio Rangoni (1559-1621) che fu nunzio in Polonia, poi dal 1592 vescovo di Reggio e quindi sedette per un importante mandato episcopale sulla cattedra piacentina dal 1596 al 1619, ha portato a reperire una corposa messe di materiale (ca. 20 buste), tanto importante quanto sparso in maniera disorganica in un po’ tutto l’archivio. La maggior parte della documentazione finora individuata fa emergere, più che il ruolo del Claudio Rangoni uomo di Chiesa, quello del Claudio Rangoni signore feudale, che compartecipa con i fratelli delle ripartizioni dell’asse familiare e si occupa principalmente dell’amministrazione del feudo di Roccabianca e dei beni di Zibello; tuttavia sono già state individuate anche copie del suo testamento e di diversi brevi pontifici a lui indirizzati, nonché brani di carteggio relativi alla sua azione come nunzio in Polonia.

Enrico Angiolini affianca l’attività di archivista libero-professionista alla ricerca storica di ambito medievistico. I suoi interessi storiografici sono orientati principalmente allo studio delle vicende politico-istituzionali dell’area emiliana e romagnola in età tardocomunale e signorile, con particolare riguardo ai temi del governo e dell’amministrazione e alle fonti normative: recentemente ha curato l’edizione degli Statuta et ordinamenta comunis Savignani, gli statuti malatestiani di Savignano sul Rubicone approvati nel 1378, mentre è titolare di un assegno di ricerca presso l’Università di Bologna, finalizzato a indagini sulle normative locali e sovralocali (principalmente i parlamenti provinciali) nella Romagna pontificia In campo strettamente archivistico ha curato diversi interventi di riordino e di inventariazione su archivi che si spingono dal pieno Medio Evo fino all’Età Contemporanea: dall’”Ufficio Liquidazione Danni di Guerra” dell’ex Intendenza di Finanza di Forlì ai documenti del fondo membranaceo del convento di San Francesco di Bagnacavallo (Ravenna), di cui ha anche pubblicato i regesti. Attualmente sta curando il riordino e l’inventariazione dell’Archivio Storico Comunale di Castenaso (Bologna) e sta portando a termine la ricognizione complessiva dell’archivio privato Rangoni Machiavelli in Modena.
 
 
 
Abstract della relazione di PIERO RIZZI BIANCHI, I fondi Mancassola Pusterla e Nasalli Rocca dell’Archivio di Stato di Piacenza


La relazione si occupa dei due archivi nobiliari piacentini riordinati e inventariati dal relatore nel corso degli ultimi due anni, per mandato dell’Archivio di Stato di Piacenza e della Fondazione di Piacenza e Vigevano: per ciascuno di essi si illustrerà la struttura interna, così come è emersa dall’ordinamento compiuto e dalla storia stessa delle famiglie, ma anche caratteristiche e peculiarità dal punto di vista della tipologia documentaria e quindi della ricerca, con alcuni esempi per rendere l’esposizione più concreta ed immediat

Piuttosto semplice è la conformazione del primo archivio, dove al fondo principale (Mancassola di Prato Ottesola) si aggiunsero infatti (1686) solo le carte di uno dei due rami Pusterla, quello proprietario di beni a sud della città, a Turro e dintorni, e del feudo di Cornigliano (ma la parte relativa a quest’ultimo confluì invece nell’archivio Rocca: v. oltre). Le carte proprie dei Mancassola riguardano invece le proprietà via via acquisite soprattutto in alta Valchiavenna, attorno a Prato (di cui divennero conti), e nei dintorni cittadini, a Crocegrossa e Campremoldo, nonché -dal 1686- la suddetta eredità Pusterla: il tutto in un ordinamento essenzialmente cronologico, che permette di apprezzare la completezza nell’arco temporale dei patti agrari per le proprietà ed ancor più della documentazione contabile, forte di alcuni registri e di centinaia di ricevute e conteggi relativi alle più varie occorrenze.

L’archivio dei Nasalli Rocca (fino al 1889 denominati semplicemente Nasalli), di dimensioni più ampie, si connota anche per una genesi assai più complessa, e centrata non sulla famiglia di origine ligure che gli dà il nome, ma su quella dei Rocca di Corneliano, estintasi nella prima soltanto a metà ’800. Questi ultimi, infatti, alle proprietà in area pedecollinare (a Godi, Cornigliano, ecc.), in parte acquistate dai Pusterla insieme al titolo feudale, avevano aggiunto tra la fine del ’700 e i primi dell’800 i patrimoni di due altre casate antiche ed importanti: gli Anguissola di Cimafava, con terre e feudo nella stessa area (a Cimafava, S. Damiano, ecc.) ma anche vaste proprietà sul Po (Mezzana, Mortizza) acquisite nel tempo da altre famiglie (Casati, Dattari, Roncaroli), ed i Landi del Mezzano o Landi Pietra, anch’essi con titolo e latifondi, in parte ereditati dai Pietra, localizzati in bassa padana (a Mezzano Martello e Roncarolo). Ad una così accentuata complessità dell’archivio Nasalli Rocca -formatosi per la tarda confluenza di quattro archivi storicamente autonomi- corrisponde naturalmente una differenziazione nei rispettivi ordinamenti, tra cui spicca quello del vasto fondo Anguissola (60 buste su 120), dotato di un esauriente e articolato inventario archivistico nel 1724. Dal punto di vista della tipologia, si nota invece una netta prevalenza di atti e cause legali riferibili ai vasti patrimoni immobiliari nel Piacentino (a fronte però di una scarsa presenza di documenti a carattere giurisdizionale-feudale); da questo cliché si distacca solo il materiale dei Nasalli, centrato quanto a proprietà sull’area ligure (Varese L.) e ricco inoltre di carteggi ottocenteschi relativi alle cariche ricoperte dai suoi più illustri rappresentanti, insieme a due altri piccoli fondi giunti nell’archivio per vie traverse: le medioevali pergamene dei bergamaschi Capitani di Scalve ed alcune carte (relative tra l’altro a feudi in Germania) dei parmigiani Terzi di Sissa.

Piero Rizzi Bianchi deve il suo approdo alla pratica professionale archivistica alla costanza di molti anni di ricerche storiche e documentarie, condotte principalmente sull’assetto sociale di età moderna della regione di Bedonia e dell’alta Valle del Taro, da cui proviene. A tali argomenti ha dedicato il proprio dottorato in Storia – operando un riordinamento presso l’Archivio di Stato di Parma – nonché un volume su documenti storici dell’antico Stato Landi (Eccellentissimo Principe). Ha quindi iniziato una collaborazione con l’Archivio di Stato di Piacenza, ordinando i due archivi familiari di cui si relaziona, e svolge altri lavori archivistici (Azione Cattolica di Bologna) e di ricerca storica (partecipazione al volume Il tesoro dei poveri degli II.PP.A.B. di Milano). Ha da poco cominciato la reinventariazione di un ampio fondo familiare piacentino aggregato all’Archivio Visconti di Modrone conservato all’Università Cattolica di Milano.
 
 
 
Abstract della relazione di GIORGIO FIORI, Il patrimonio storico – artistico nelle fonti documentarie private


Negli archivi delle superstiti famiglie del patriziato cittadino, tra le copie degli atti notarili loro pertinenti (i cui originali sono nel poderoso Archivio Notarile di Piacenza presso l’Archivio di Stato), è conservato un gran numero di inventari di cessate pinacoteche, oltreché ovviamente dei beni patrimoniali, del ‘600 e del ‘700, in genere redatti in occasione di compilazione di atti di tutela o di divisioni tra coeredi.

Da tali documenti risulta l’enorme quantità di opere d’arte esistenti a quell’epoca a Piacenza, di proprietà delle maggiori famiglie, sia della nobiltà che della borghesia agiata. Non sempre però veniva indicato in tali atti il nome dell’autore dei quadri, ma solo il soggetto, spesso di carattere religioso, anche se erano assai numerosi i ritratti, i soggetti mitologici e storici, le nature morte, interni di chiese o di case e talvolta anche paesaggi o comunque scene bucoliche; l’indicazione del nome dell’autore era generalmente riservato alle opere ritenute di notevole livello artistico, in cui il nome del pittore contribuiva indirettamente a fornire un valore monetario, almeno approssimativo, alle opere inventariate. Tali raccolte private purtroppo sono andate in gran parte suddivise e disperse nel corso degli ultimi due secoli, ma l’indicazione delle opere in esse contenute è comunque un documento assai importante. Di molti di tali artisti, che pure ebbero a Piacenza ai loro tempi una buona fama, per il cambiamento dei gusti e per la dispersione delle pinacoteche si era perso infatti perfino il ricordo.

Il ritrovamento negli inventari dell’indicazione di quadri da loro eseguiti ha dapprima permesso di recuperare il ricordo della loro esistenza ed in seguito, per il fortuito ritrovamento di opere a loro attribuibili, sia perché firmate, sia perché documentate, è stato possibile ricostruire la loro attività artistica. Sono pertanto riemersi dopo un ingiusto secolare oblio i nomi e le opere di Bartolomeo Arbotori, Marco Antonio Rizzi, Luigi Mussi, Bartolomeo Rusca, Mariano Nicolini e di vari altri di minore importanza; i primi tre essi sono però ora ben noti alla storia ed alla critica d’arte ed i loro quadri sono ricercati da musei e collezionisti privati non meno di quelli di altri autori coevi, di cui erano già noti i nomi e l’attività.

Ancora una volta pertanto la ricerca archivistica ha reso un grandissimo servizio non solo alla storia in generale, ma più specificamente, e forse con maggiore utilità pratica, alla storia dell’arte, non solo piacentina, ma italiana.

Giorgio Fiori, attento indagatore dei maggiori archivi piacentini, si occupa principalmente di genealogia, ricerche biografiche e araldica. Tra le maggiori pubblicazioni si segnalano I Malaspina, Il Monte di Pietà di Piacenza, e diverse sezioni della Storia di Piacenza. È, inoltre, tra i collaboratori del “Bollettino Storico Piacentino”, “Strenna Piacentina”, “Archivio Storico per le Provincie Parmensi”.

 
 
Abstract della comunicazione di CORNELIA BEVILACQUA, Tra Val Tidone e Val Trebbia: l’archivio Cigala Fulgosi


Il fondo Cigala Fulgosi è stato depositato una dozzina d’anni fa presso l’Archivio di Stato di Piacenza mediante due versamenti, il primo consistente in 26 cassette lignee e 7 volumi sciolti, il secondo in una sola cassetta contenente 28 documenti.

Il materiale documentario è stato oggetto negli anni di diverse sistemazioni – la più interessante è databile alla fine del 1700 – che hanno lasciato visibile traccia nelle molteplici numerazioni rintracciabili sui pezzi o sui frontespizi delle carpette che li contengono, che richiamano repertori purtroppo non conservati. Ora il fondo è stato riordinato e inventariato dalla relatrice per conto dell’Archivio di Stato di Piacenza a cui è stato affidato dai proprietari.

Gli atti che costituiscono l’archivio coprono un arco cronologico che va dal XII al XX secolo e allo stato attuale sono conservati in 30 contenitori, 13 dei quali sono ancora quelli originali in legno. I documenti sono in gran parte testamenti, vendite, permute, locazioni, convenzioni, carte di processi, ma non mancano privilegi imperiali e brevi papali. In totale si possono contare circa 230 pergamene.

La famiglia Cigala, di origine bobbiese -come attestano alcuni atti della fine del secolo XIV in cui compare Giovanni Cigala da Bobbio- rimane radicata negli anni nel territorio piacentino e intreccia numerosi legami con la nobiltà locale; in particolare, Aurelio Cigala sposa la nobildonna Taddea Fulgosi e la loro discendenza assume anche il cognome materno.

Importante da rilevare è la presenza nel fondo Cigala Fulgosi di quindici documenti appartenenti all’archivio degli Appiani d’Aragona, i nobili signori di Piombino imparentatisi con la famiglia piacentina a metà del secolo XIX.

Cornelia Bevilacqua, laureata in Lettere moderne presso l’Università di Bologna. Docente di materie umanistiche, diplomata alla Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell’ Archivio di Stato di Parma, dal 1992 si occupa di ricerche storiche su fonti documentarie. Presso l’Archivio di Stato di Parma ha lavorato alla Guida agli studi delle fonti Francescane, presso l’ASPc ha collaborato al volume Vigoleno, dal castello al Borgo , lavorando sui documenti Scotti-Douglas da Vigoleno.
 
 
 
Abstract della comunicazione di CRISTIANO DOTTI e di SARA FAVA, Modi di tutela degli archivi privati di notevole interesse storico


L’archivio privato analizzato nella sua natura di bene culturale: partendo dalle disposizioni legislative in materia di archivi (D.P.R. n.1409/1963, D.P.R. n.805/1975 e T.U.-D.Lgs n.490/1999), l’intervento traccia un breve profilo dell’attività degli organi centrali e periferici dell’Amministrazione archivistica con particolare riguardo ai compiti di vigilanza e tutela sugli archivi di proprietà di privati. Vengono esposte le funzioni e i ruoli delle Soprintendenze archivistiche nell’individuazione di tali archivi e nell’eventuale dichiarazione di “notevole interesse storico”. Sono esaminate quindi le modalità del procedimento di notifica e gli obblighi e i diritti che ne derivano, inerenti la conservazione e la consultabilità della documentazione.

Il contributo delinea, inoltre, un quadro delle normative relative alla richiesta di finanziamenti per interventi legati alla tutela e alla conservazione del bene e illustra le possibilità e i vantaggi derivanti dal deposito volontario della documentazione negli Archivi di Stato.

La seconda parte dell’intervento analizza la situazione degli archivi gentilizi piacentini esponendo l’attività della Soprintendenza Archivistica per l’Emilia Romagna – Ufficio periferico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – e fornendo alcuni dati relativi agli archivi notificati.

Cristiano Dotti, residente a Busseto (Pr), laureato in Conservazione dei beni culturali (indirizzo beni archivistici e librari) presso l’Università degli Studi di Parma, ha conseguito il diploma della Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica presso l’Archivio di Stato di Parma. Ha collaborato con la Soprintendenza archivistica per l’Emilia Romagna nell’ambito del progetto di censimento degli archivi delle opere pie, degli enti ospedalieri e della Camera di commercio della provincia di Parma. Ha effettuato ricerche archivistiche presso il fondo documentario del Monte di Pietà di Busseto, ora di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Parma. Per la Soprintendenza regionale per i beni librari e documentari ha in corso il censimento delle edizioni del XVI sec. della biblioteca del Seminario vescovile di Fidenza. Attualmente è anche impegnato nel riordino dell’archivio comunale della città di Fidenza (Pr).

Sara Fava, residente a Piacenza, laureata in Conservazione dei beni culturali (indirizzo beni archivistici e librari) presso l’Università degli Studi di Parma, ha conseguito il diploma della Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica presso l’Archivio di Stato di Modena. Ha collaborato con la Soprintendenza archivistica per l’Emilia Romagna nell’ambito del progetto di censimento degli archivi delle opere pie, degli enti ospedalieri e della Camera di commercio della provincia di Piacenza. Si è occupata delle operazioni di schedatura e deposito di parte dell’archivio degli ex Ospizi civili-Azienda Usl di Piacenza presso l’Archivio di Stato. Ha in corso l’inventariazione sommaria di parte del fondo documentario prodotto dal Supremo Consiglio di giustizia e di grazia di Piacenza ora conservato presso l’Archivio di Stato. Attualmente è anche impegnata nel riordino dell’archivio comunale della città di Fidenza (Pr).
 
 
 
Abstract della comunicazione di ENRICO PETRUCCIANI, Vicende dell’archivio Appiani d’Aragona

Anno del Signore 1536: a Piacenza si celebra, il matrimonio tra il Magnifico Signore Hjeronimus Aragona Appiano dei Principi di Piombino e Antonia Sforza dei Conti di Borgonovo. Inizia così l’avvincente storia dell’archivio privato Appiani D’Aragona che, da quasi cinque secoli, unisce e separa, i destini di due capitali rinascimentali: Piombino e Piacenza. In un misterioso intreccio di vicende politiche, storiche e personali dei tempi che furono, attraverso cause imperiali, duelli, matrimoni e guerre, l’interesse per il contenuto di quest’archivio sembra non essersi mai sopito, dal Rinascimento ad oggi. In origine, ebbe l’importanza e l’eccellenza di contenuti che solo una famiglia di stirpe dinastica ai vertici di uno stato può avere, per gli eventi che contraddistinsero l’ascesa della famiglia gentilizia degli Appiani D’Aragona in quasi dieci secoli di storia. Ai primi del ‘600, il ramo piacentino di questa nobile famiglia divenne l’unico in linea di discendenza diretta da Jacopo III, nello stesso momento in cui il Principato di Piombino fu riscattato, presso la Corte imperiale di Vienna, da una nobile e potente famiglia romana, quella dei Boncompagni – Ludovisi. Nacque così, e perdura (nei secoli) una complicata Causa Imperiale, nel mezzo della quale lo stesso Archivio Appiani D’Aragona, diventa prova della loro giusta e legittima successione al Principato di Piombino. Dopo la fine di Napoleone e in particolare con il nascere del Regno D’Italia, fino alla seconda Guerra Mondiale, i riflettori si riaccesero sulla nobiltà italiana e i documenti di quest’archivio tornarono ad essere interessanti. Nel 1881 il Conte F. Giuseppe Cigala Fulgosi in una lettera di risposta al cugino Marchese Vincenzo Appiani D’Aragona, scrive che: . In detta casa certamente si trovava in virtù di matrimoni precedenti tra le due nobili famiglie. Ancora nei primi Trenta anni del XX secolo, i congiunti del fu Marchese Vincenzo Appiani D’Aragona, nella persona dell’avv. Giuseppe Foresti, scrivono al Podestà di Piacenza manifestando la volontà di donarlo all’Archivio Storico Comunale. Nel 1989, infine, i conti Cigala Fulgosi effettuano il deposito, nell’Archivio di Stato di Piacenza, di una parte del proprio archivio di famiglia, dove si trova anche qualcosa degli Appiani D’Aragona di Piombino: dopo quasi cinquecento anni, la storia tra Piombino e Piacenza, nelle vicissitudini di quest’antico archivio, forse non è ancora finita.

Enrico Petrucciani, laureato in lettere moderne presso l’Università degli Studi di Bologna è pubblicista e ricercatore per l’Università di Siena. Si occupa, inoltre, di critica musicale. Da anni le sue ricerche storiografiche si concentrano sulla famiglia Appiani d’Aragona e sul suo archivio privato.

Ultimo aggiornamento

28 Febbraio 2024, 18:02