Stefano Fermi e il Bollettino Storico Piacentino: contributi

Abstract delle relazioni presentate nella  Giornata di studi: Stefano Fermi e il Bollettino Storico Piacentino, Piacenza, 29 novembre 2005 (Vai alla pagina di presentazione dell’evento)

Giovanna Rabitti, La nascita della rivista nel panorama culturale nazionale tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, per la Giornata di studi
L’intervento si propone di rileggere l’esperienza del «Bollettino storico piacentino» alla luce dei cambiamenti nell’editoria erudita del secondo Ottocento. A partire dalle fondamentali esperienze settecentesche e del primo Ottocento, nella seconda metà del secolo si assiste al formarsi e al consolidarsi di una robusta scuola storica, che vede nell’«Archivio Storico Italiano» (fondato da Giampietro Vieusseux nel 1842) un modello metodologico di indiscussa autorevolezza anche per le iniziative che si moltiplicarono nelle diverse regioni, in sintonia con il clima post-risorgimentale.
Il pullulare di nuove Deputazioni di Storia Patria e di Società Storiche (talvolta in in un rapporto dialettico, talvolta in aperto contrasto tra loro) si rispecchia nella nascita di altrettanti “strumenti” (Bollettini, Giornali storico-letterari e così via), variamente richiamantisi al magistero del Vieusseux: «nel disordinato e vivace proliferare di società e deputazioni storiche e nel sempre crescente fervore di studi di storia patria che seguì l’unificazione, l’“Archivio” avrebbe dovuto rappresentare quel punto di riferimento comune che era stato nei primi due decenni della sua attività» (I. Porciani, L’«Archivio Storico Italiano», Firenze, Olschki, 1979, p. 227). Questo è vero solo in parte, dato che il quadro d’insieme è estremamente mosso; ma lo è senz’altro per Fermi: seguendo il filo che, da Giordani a Scarabelli, legava Piacenza alla Toscana e al gruppo del Vieusseux, il giovane piacentino completò la sua formazione a Firenze (dove si laureò nel 1902), e probabilmente proprio dalle frequentazioni degli ambienti intellettuali di quella città e dai rapporti successivi con esponenti della scuola storica (a Pisa e a Bologna) elaborò il progetto di fornire Piacenza, di cui il giovane studioso notava l’estraneità «dall’intenso movimento che – grazie soprattutto ad un nuovo più severo e più rigoroso metodo di critica – si era manifestato da parecchi decenni in tutta Italia nel vasto e vario campo degli studi storici», di «una pubblicazione ad hoc, tecnica nel suo genere e quale già posseggono molte altre città italiane anche di minore importanza della nostra» (S. Fermi, Al Lettore, BSP, 1906, n. 1).
Da una comparazione del “caso Piacenza” con altri coevi si cercherà, infine, di illuminare un po’ meglio la fisionomia interna del «Bollettino» con una particolare attenzione ai suoi apporti alla critica letteraria.

William Spaggiari, Stefano Fermi e gli studi sul primo Ottocento
 
Il contributo intende passare in rassegna gli esiti di maggior rilievo degli studi primo-ottocenteschi di Stefano Fermi, orientati sui presupposti eruditi e documentari della Scuola storica, appresi al magistero fiorentino di Guido Mazzoni. A quel metodo, poi arricchito dalle sollecitazioni che, in tempi di dominante crocianesimo, gli giunsero da altre direzioni (basti pensare a Carlo Calcaterra, col quale dialogò per quasi quarant’anni), il Fermi si mantenne fedele in ogni settore di studi: l’edizione di testi (le Lettere edite e inedite²di Giandomenico Romagnosi, 1935), la critica letteraria (dai Saggi giordaniani, del 1915, ai Letterati e filosofi piacentini del primo Ottocento, del 1944), la ricerca bibliografica (culminata nel catalogo delle lettere a stampa di Pietro Giordani, 1923), la lunga serie di scritti (non soltanto di argomento letterario e storico) affidati principalmente alle pagine del «Bollettino storico piacentino».

Massimo Baucia, Materiali di Stefano Fermi presso la Biblioteca Comunale Passerini-Landi
 
I materiali in questione sono cartelle che contengono lavori preparatori per alcuni scritti pubblicati del Direttore del «Bollettino storico piacentino» (Annali tipografici di Del Maino, ecc.), pagine giordaniane, romagnosiane, studi sul rinascimento piacentino e testi di conferenze e lavori inediti. Si avanzeranno proposte per la descrizione del contenuto delle cartelle e sulle modalità di consultazione del materiale da parte degli studiosi, anche considerando la possibilità di riproduzioni che li rendano accessibili presso l’Archivio di stato, ove l’Associazione Amici del Bollettino storico piacentino ha depositato il “carteggio” di Stefano Fermi, ricevuto dagli eredi, che certo costituisce la parte maggiore e più interessante della documentazione sulla lunga ed appassionata attività del Fermi come direttore della rivista da lui fondata e punto di riferimento per la ricerca storica a Piacenza.
 
Anna Riva, Corrispondenza, carte private e materiali di collezione di Stefano Fermi presso l’Archivio di Stato di Piacenza
Nel 1995 l’Associazione Amici del Bollettino storico piacentino proprietaria dell’archivio di Stefano Fermi ha depositato il materiale presso l’Archivio di Stato, dopo che la serie del Carteggio, suddivisa in due sezioni Corrispondenti e Autografi e Appendice per un totale di 11.191 pezzi, era stata riordinata e catalogata da Manola Perugi, che aveva anche curato un Indice dei corrispondenti e dei destinatari stampato nel «Bollettino storico piacentino» del 1998.
Insieme con le lettere vennero depositate tre scatole di materiale disomogeneo non ordinato (biglietti da visita, cartoline, libri, appunti, pergamene, altre lettere), così segnalato nel Notiziario del Bollettino Storico Piacentino del 1995: «infine si auspica un altro incarico per la catalogazione del poco materiale disomogeneo del fondo Fermi (biglietti, cartoline, foto, pergamene), che comunque nel suo insieme presenta elementi di valore documentario».
Questo materiale, che è stato l’oggetto del riordino di cui si riferisce in questa sede, forse sottovalutato all’atto del deposito, riveste invece notevole interesse. Mentre la serie dell’amministrazione è costituita da uno scarno fascicolo relativo agli anni 1906-1907, molto nutrito è il corpus delle cartoline: 1675 pezzi, perlopiù inviate al Fermi, ma anche ad altri membri della sua famiglia, da allievi, amici, colleghi e famigliari, dal 1901 al 1952: oltre a fornire uno spaccato sulle “villeggiature” dell’alta borghesia nei primi decenni del nostro secolo, offrono immagini dei nuovi monumenti del Ventennio (scuole, ponti, stazioni ferroviarie) e di monumenti integri prima del secondo conflitto mondiale (Ponte di Bassano del Grappa, Ponte Vecchio di Pavia). Particolarmente significativi sono, poi, i materiali di studio, gli appunti e le schede messe insieme dal Fermi per ricerche personali, specialmente per la storia contemporanea di Caorso, ma anche i suoi documenti personali, che sono stati in parte indagati da Angelo Cerizza: le lettere ai famigliari, al fratello Francesco, in particolare, quando era militare nella prima guerra mondiale, la Miscellanea Berni relativa a Giuseppe Berni, cui ha contribuito anche il figlio Vittorio, i documenti relativi al periodo in cui era insegnante al liceo Manzoni di Milano.
Poiché materiale dell’archivio Fermi è conservato presso la Biblioteca Comunale, sarebbe auspicabile un inventario degli inventari, che raccogliesse i mezzi di corredo o comunque le descrizioni anche sommarie dei vari fondi oggi divisi tra i diversi istituti culturali.

Angelo Cerizza, Stefano Fermi e il Fascismo

Stefano Fermi riprese servizio come insegnante nel Liceo Scientifico «Respighi» di Piacenza nel 1947; e venne pensionato, questa volta con tutti gli onori, nel gennaio del 1950: un breve periodo che in realtà era un doveroso risarcimento morale. Stefano Fermi infatti nel 1941, quando era docente nel Liceo classico «A. Manzoni» di Milano era stato costretto alla pensione perché ritenuto per le sue idee (e alcune dichiarazioni verbali denunciate da un anonimo) indegno di proseguire la sua opera di educatore. Pesava soprattutto su di lui il suo tetragono rifiuto di iscriversi al Partito Nazionale Fascista.
Stefano Fermi nella sua autodifesa negò di aver svolto in classe propaganda contro il regime, ma riaffermò chiaramente di non essere fascista e, di nuovo, quindi rifiutò di prendere la “tessera”.
Tornò così a Caorso, dove dopo l’8 settembre fu chiamato a far parte nel CLN locale. Nel 1945 fu nominato vicesindaco in attesa delle elezioni comunali. Dimessosi per contrasti con il sindaco, si presentò per le elezioni comunali nel 1946 nella lista Scudo Crociato.
Nel 1955, a tre anni dalla scomparsa, il Comune di Caorso  gli dedicò il Centro Culturale.

Daniela Morsia, La rivista negli anni della direzione di Stefano Fermi

Le vicende del «Bollettino storico piacentino» prendono le mosse in un contesto di rigoroso progresso delle scienze filologiche e storiche e di riscoperta della storia patria, locale e nazionale al contempo. Il progetto storiografico di Stefano Fermi, che ideò, realizzò e diresse la rivista dalla fondazione, nel 1906, alla sua morte, avvenuta nel 1952, fu da subito evidente: creare una rivista che «ospiti qualunque articolo, scritto da chiunque ponga come fine delle sue investigazioni e dei suoi studi la verità; a condizione che tale contributo abbia in sé un vero interesse e in un modo qualsiasi riguardi la storia locale». Una strada battuta tenacemente, fascicolo dopo fascicolo, con saggi, documenti e note che costituiscono un eccezionale e unitario corpus storiografico e una  evidente testimonianza – è importante sottolinearlo – della contemporaneità del progetto di Stefano Fermi.
Dalla lettura dei fascicoli della rivista si constata, anzitutto, la vitalità di un legame stretto e continuo con il territorio, testimoniato dal corpus dei soci, dagli elenchi degli abbonati inseriti nei primi fascicoli, dagli interessi storiografici della rivista, ma soprattutto dalla collaborazione di circa centoventi autori, in grande maggioranza rappresentanti il territorio stesso. La solida impostazione data del Fermi nei primi numeri rimarrà sostanzialmente immutata, facilitando il processo di identificazione e di riconoscimento del periodico con il territorio ed accentuando l’idea della continuità e solidità di questo rapporto.
La lunga direzione del Fermi – la cui abilità fu anche quella di collegare la rivista non ad una istituzione, ma ad un ambiente generativo – diede il “marchio” alla rivista: con oltre 420 tra saggi, note e documenti firmati o siglati (e tenendo conto che molti pezzi brevi e documenti apparsi anonimi sono a lui attribuibili) la sua presenza sulla rivista è preponderante. Ma lo spazio dato ai collaboratori, dagli accademici agli storici non professionali che in qualche modo rappresentavano la genuina espressione culturale del territorio, fu progressivamente consistente. Preziosa fu la prima collaborazione di alcuni amici del Fermi, come Arturo Pettorelli, Francesco Picco e Mario Casella, a lungo collaboratori del «Bollettino». Ma gli autori si infittirono via via sempre più, comprendendo personaggi come Aurelio Candian, Ettore Rota, Giovanni Ferretti, Graziano Paolo Clerici e Carlo Calcaterra. Nel primo dopoguerra inizierà poi per la rivista una nuova stagione che vedrà l’ingresso di una generazione di giovani studiosi, come Emilio Ottolenghi, Ernesto Tammi, Attilio Rapetti, Augusto Balsamo ed Emilio Nasalli Rocca. Questo fu e rimarrà un aspetto particolarmente significativo della rivista, in qualche modo un “testamento” del Fermi che vide il suo «Bollettino» anche come “laboratorio” di crescita dei ricercatori storici: la lezione di rigore scientifico offerta dalle pagine del periodico ha avuto sicuramente il merito di far crescere e allevare nuove leve di studiosi.

Piero Castignoli, La rivista e la ricerca storica sul Medioevo e l’Età Moderna

Nel licenziare il primo numero del «Bollettino storico piacentino» il suo direttore, Stefano Fermi, getta le basi del suo programma. Constatata l’arretratezza dei nostri studi storici rispetto alla produzione nazionale, egli indica nei canoni della scuola del metodo storico e in particolare nell’indagine documentaria la via da seguire.
In effetti il «Bollettino» inizia una serie di fruttuose collaborazioni con gli editori delle fonti storiche nazionali, pubblicate dall’Istituto storico italiano per il Medioevo, dal Codice diplomatico di San Colombano di Bobbio al Codice diplomatico longobardo. Si fa promotore inoltre dell’istituzione anche a Piacenza di un Archivio di Stato per una raccolta sistematica e consultabile di tutta la nostra documentazione storica. Per quanto riguarda il Medioevo poi chiede ed ottiene il contributo dei migliori studiosi di storia italiani e stranieri, da Arrigo Solmi a Francesco Ercole ad Armando Tallone, da Ferdinand Goetherbock a Henry Beautier. Si fa inoltre promotore dell’edizione del nostro massimo documento diplomatico, il Registrum Magnum del Comune di Piacenza, purtroppo allora rimasta interrotta al primo volume per difficoltà finanziarie.
Anche nel campo della storia moderna il «Bollettino» mantenne fede al programa del fondatore occupandosi prevalentemente, con l’ausilio di autorevoli storici, dei ducati di Parma e Piacenza visti nel contesto europeo. Ma la figura centrale di questo periodo, della quale viene operata un’attenta revisione e una doverosa rivalutazione, è senza dubbio il cardinale Giulio Alberoni, che il Fermi, intuendone l’importanza e il ruolo nel nuovo assetto europeo della prima metà del Settecento, pone al centro dei suoi interessi a partire dalla ponderosa bibliografia dovuta a Pietro Catagnoli fino all’illuminante saggio di Ettore Rota sul pensiero politico del primo ministro di Filippo V.
 
Maria Luigia Pagliani, Il Bollettino storico piacentino per una politica dei monumenti e delle istituzioni culturali

Il decennio compreso fra il 1902 e il 1912 rappresenta uno dei momenti più vitali per la tutela del patrimonio artistico italiano. Non sono solo le azioni politiche governative ad alimentare l’interesse per i beni artistici della nazione. Nei primi anni del Novecento l’intero mondo della cultura è investito da un profondo cambiamento. Un’importante novità è rappresentata dalla aumentata capacità di diffusione delle idee. Questa si fonda su una maggiore disponibilità di strumenti: una moderna editoria, i nuovi giornali e le riviste.

In questo clima nazionale nel 1906 Stefano Fermi, fresco della sua esperienza di studi a Firenze, fonda il «Bollettino storico piacentino». Fra gli obiettivi della nuova rivista vi è quello di difendere la conservazione di «quel preziosissimo patrimonio artistico, che viene a buon diritto ritenuto come una delle nostre glorie più pure». I temi della salvaguardia e della migliore conoscenza del patrimonio artistico piacentino si affacciano quindi regolarmente dalle pagine del «Bollettino», solitamente ospitati nella sezione Note e comunicazioni e talvolta in una sezione, a carattere saltuario, denominata Note e notizie di storia contemporanea, entrambe a carattere informativo piuttosto che di ricerca. Molti contributi sono siglati dallo stesso Fermi o a lui riconducibili per la presenza della sigla «D» (direzione).
Le pagine del «Bollettino» si connotano come luogo di civile confronto e di misurato dibattito, attente, anche nella forma, a privilegiare la dialettica argomentativa rispetto alle rigide posizioni dottrinali o di interesse e alle polemiche violente. I contributi sui temi della tutela possono iscriversi in due filoni principali: uno legato all’informazione culturale con carattere di servizio, l’altro comprendente i dibattiti, le grandi questioni di organizzazione culturale e di conservazione. Sulle pagine della rivista vengono discussi i principali restauri cittadini, gli interventi sul centro storico, il ruolo e lo sviluppo delle principali istituzioni culturali, in particolare Biblioteca  e Museo Civico, e la istituzione di un Archivio di Stato a Piacenza..
La rivista, che, come altri organi analoghi, nelle speranze del fondatore doveva rappresentare, oltre che uno strumento scientifico, uno sprone capace anche di condizionare le scelte di politica culturale cittadina, sembra non avere raggiunto pienamente questo obiettivo concreto: l’immobilità cittadina sul fronte delle istituzioni culturali è totale.
Le cause di tanta inazione sono antiche e al tempo stesso recentissime, ben note nel XX secolo come nel XXI e non esclusivamente piacentine; e Stefano Fermi le attribuisce «al demagogismo imperante, per cui più si ha l’occhio ai problemi che toccano la moltitudine e di immediato successo elettorale che non a quelli, magari più vitali, che interessano una cerchia eletta ma ristretta di persone; al deplorevole vezzo di affidare imprese, che da una o poche persone volonterose e fattive sarebbero condotte facilmente a termine, a numerose Commissioni, a mastodontici Comitati, che tutt’al più studiano, quando pure studiano, ma non concludono nulla di concreto; alla mancanza di una pubblica opinione, che segnali bisogni e problemi; ne indaghi e ne suggerisca i rimedi e le soluzioni, vigili e controlli l’opera di chi ha l’obbligo e l’ufficio di fare, prenda atto delle tante promesse che le si fanno e le riscontri a suo tempo; ed anche alla mancanza di una stampa seria ed autorevole, che di tale pubblica opinione sia la sincera e libera interprete, discutendo di questioni, che sono puramente tecniche e culturali, senza preconcetti di partito o di setta o di persone».

 Antonella Gigli,  Elementi di storia dell’arte nelle pagine della rivista

Sin dal primo numero del «Bollettino storico piacentino» viene dato un grande rilievo alla storia dell’arte sia nelle Memorie sia nelle Comunicazioni. Anche le rubriche Bibliografia e Cronaca mostrano una grande attenzione non solo agli aspetti locali, ma anche a quelli nazionali.
Autore in diverse occasioni di interventi critici sulle scelte urbanistiche e su alcuni restauri, nonché di articoli su Alessio Tramello, Gian Paolo Panini e sulle arti cosiddette minori, Stefano Fermi aveva chiamato a collaborare al suo «Bollettino» i protagonisti del dibattito culturale a Piacenza all’inizio del secolo, quali Giulio Ferrari, Camillo Guidotti e Leopoldo Cerri, ed anche personaggi famosi a livello nazionale, tra cui l’architetto Arturo Pettorelli. Quest’ultimo fu uno dei protagonisti del «Bollettino» con i suoi interventi su Francesco Mochi e i gruppi equestri, sul collezionismo del Cardinale Alberoni, sul Pordenone, sulla Madonna Sistina, sul dipinto di Botticelli acquisito dalla città di Piacenza e sull’Ecce Homo di Antonello da Messina.
Gli interventi dei collaboratori di Fermi si dimostrano attenti alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico piacentino e in particolare, soprattutto negli anni Trenta, l’interesse si appunta sulle numerose scoperte archeologiche, di cui Emilio Nasalli Rocca dà un resoconto accurato, accentuando inoltre il problema della valorizzazione museale delle sculture, delle ceramiche e dei mosaici ritrovati.
Il dibattito sulle scelte architettoniche e urbanistiche della città si fa più serrato negli anni Trenta, quando vengono criticati gli interventi di demolizione delle case in Piazza Cavalli e le costruzioni dei Palazzi INA e INPS. Il dibattito viene ripreso anche su importanti riviste nazionali; nella «Rassegna di architettura», ad esempio, Ferdinando Reggiori, prendendo spunto dalle osservazioni puntuali di Luigi Dodi apparse sul «Bollettino», stronca le scelte urbanistiche del Comune di Piacenza, appellandosi addirittura al Consiglio Superiore delle Belle Arti.
L’interesse del «Bollettino» è rivolto inoltre allo studio delle istituzioni museali piacentine (alla Galleria Ricci Oddi e alla Pinacoteca Alberoni), ma, in particolare, il dibattito si appunta fin dai primi numeri sulla necessità di trovare una sede civica per le collezioni artistiche della città sparse un po’ ovunque, come ben sintetizza Dionigi Barattieri in un articolo apparso nel 1910.


Carlo Emanuele Manfredi,  Emilio Nasalli Rocca collaboratore di Stefano Fermi.
 
Emilio Nasalli Rocca inizia nel 1922, poco più che ventenne, a pubblicare articoli sul «Bollettino storico piacentino» e la collaborazione con Stefano Fermi si intensifica negli anni successivi
Emilio Nasalli si era laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino nel 1922; la sua tesi, Il Supremo Consiglio di Giustizia e Grazia di Piacenza, che aveva ottenuto la lode e la dignità di stampa, venne pubblicata dal Fermi nella Biblioteca Storica Piacentina nello stesso anno.
I saggi di Nasalli Rocca usciti sul «Bollettino» nel decennio successivo riguardano prevalentemente  temi di storia del diritto e di storia sociale , sempre con riferimento a Piacenza e al suo territorio.  Vengono in particolare prese in esame le istituzioni del territorio durante il Medioevo e l’Età Moderna, le condizioni giuridiche degli abitanti delle comunità rurali, l’ordinamento statutario di alcune importanti borgate, i castelli del Piacentino; a tali argomenti si aggiungono recensioni, note erudite sull’Archivio Comunale, profili biografici, segnalazioni di rinvenimenti archeologici.
In un breve volgere di anni  Nasalli Rocca diventa uno dei più assidui collaboratori del «Bollettino», particolarmente qualificato sia per la sua competenza nel settore della Storia del Diritto Italiano, disciplina in cui aveva preso la libera docenza, sia per i rapporti che egli intesseva con il mondo accademico, infatti Nasalli sin dal 1924 era diventato assistente di Storia del Diritto nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica.
Negli anni Trenta, anche in seguito al trasferimento del Fermi a Milano, Emilio Nasalli divenne il principale collaboratore del “«Bollettino», per il quale si occupava anche dei rapporti con la Tipografia Del Maino, che stampava il periodico.
Il Nasalli forniva altresì una consulenza bibliografica a Stefano Fermi, utilizzando le informazioni di cui poteva disporre grazie alle sue funzioni di Direttore della Biblioteca Comunale, come è testimoniato dal ricco epistolario, che prosegue sino alla morte del Fermi.

Ultimo aggiornamento

28 Febbraio 2024, 18:04