Le pergamene nell’era digitale. Un progetto possibile
Chiese, monasteri e ospedali: le pergamene piacentine sul computer.
Gian Paolo Bulla, Archivio di Stato di Piacenza (Vai alla pagina di presentazione dell’evento)
[Questo contributo non è stato pubblicato sul volume Le pergamene nell’era digitale. Atti dei convegni di di Spezzano (3 settembre 2004) e di Ravenna (24 settembre 2004), Modena, Mucchi Editore, 2005)]
Nei confronti delle esperienze che citerò, più accreditate ed autorevoli, e in compagnia, addirittura, di alcuni degli stessi protagonisti mi sento come l’umile ancella di cileana e pascoliana memoria. Il progetto a cui accennerò è infatti un progetto possibile, forse solo un’elucubrazione, l’ennesima di un intelletto oppresso da una contingenza precaria fatta sempre più di infingimenti burocratici che di ricerca seria.
Piacenza, città ricca ed influente fino al secolo XIV ed in particolare fino alla presa di Francesco Sforza del secolo successivo, con la sua diocesi ha prodotto, e possiede in modo sparso, un cospicuo patrimonio pergamenaceo di provenienza, ovviamente, ecclesiastica (monasteri soppressi[i], Capitoli della Cattedrale, di S. Antonino, di Castell’Arquato, ecc.), pubblica (Ospizi Civili[ii], Registrum Magnum, Opera Pia Alberoni) e privata (Landi[iii], Dal Verme[iv], Anguissola, Mandelli, ecc.). Nonostante la fama di certa documentazione ed alcune pregevoli iniziative convegnistiche ed editoriali[v] forse questo patrimonio non è conosciuto nel suo insieme, presentando anche zone di buio più o meno ampie. Un’azione profonda e risolutiva sembra ancora di là da venire, ad esempio con la completa regestazione di questo ragguardevole corpus diplomaticum.
E’ stato sempre un mio rovello personale quello di trovare la maniera di valorizzare, anche con qualche dose di giusta spettacolarità, questa documentazione così interessante per lo studio del Basso Medioevo. Oltretutto, si tratta di atti oggettivamente affascinanti nella loro singolarità, capaci di suscitare un interesse non solo a livello paleografico, ma genericamente divulgativo e didattico. Come farlo con pochi mezzi e poca esperienza? Secondo me bisogna partire dai microfilm che l’Archivio di Stato di Piacenza possiede in discreta quantità, messi insieme fin dalla nascita dell’istituto nel 1959. Ora possiamo consultarli con il lettore a disposizione, ma non riusciamo più a stamparli a causa della difficoltà a reperire i pezzi di ricambio e la mano d’opera specializzata. Siamo arrivati al punto che usufruiamo della gentilezza della Biblioteca Comunale di Piacenza per stampare i fotogrammi richiesti dagli studiosi!
Navigando in rete, è stato utile imbattermi nella pagina della Biblioteca Comunale di Rudiano (BS) costruita da Roberta Barbieri[vi], che segnala le esperienze on line più rilevanti nel mondo degli archivi. Dalla voce “Progetti di digitalizzazione” si dipartono 4 link; tre sono dedicati rispettivamente al Codice Diplomatico Digitale della Lombardia Medievale (sec. VIII-XII)[vii], a Scrineum pubblicazione elettronica dell’Università di Pavia in collaborazione con l’Università di Firenze[viii], al Progetto Imago II dell’Archivio di Stato di Roma[ix]. Le tre esperienze si collegano a Reti Medievali[x] e alla ricerca tecnologica, basata sullo standard XML, promossa dal C.R.I.Be.Cu. della Normale Superiore di Pisa. Il C.R.I.Be.Cu. come si sa ha realizzato il Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche – SIUSA, punto di accesso primario per la ricerca sul patrimonio archivistico non statale, pubblico e privato conservato al di fuori degli Archivi di Stato. Anche l’Università di Firenze, da parte sua promuove una serie di iniziative attraverso il Coordinamento delle iniziative on line per la medievistica italiana[xi] avviato nel 2001 che tra l’altro ha tenuto, il 18 giugno 2004, un seminario intitolato “La ricerca digitale. Esperienze a confronto”[xii]. Le esperienze supportate sono: Scrineum, Reti Medievali, il Polo Informatico Medievale del Dipartimento di Studi storici e geografici dell’Università degli studi di Firenze[xiii]. Secondo Andrea Zorzi, uno dei responsabili, il coordinamento persegue, tra l’altro, lo scopo di tradurre le “proprie tradizioni nei nuovi linguaggi e nelle nuove pratiche di ricerca, vale a dire nel modo di fare, di pensare, di leggere, di scrivere e di insegnare la storia medievale nella cultura digitale”[xiv].
Presso l’Archivio di Stato di Firenze è stato avviato il progetto Imago I, diretto da Francesca Klein, che ha permesso di riprodurre in digitale 85.000 pergamene del Diplomatico (sec. VIII–1398). Effettivamente le immagini digitali sono “più duttili, in quanto sono associabili ad elementi informativi diversi, schede, testi, altre immagini”[xv]. Anche il progetto romano Imago II, avviato nel 1996, vanta numeri considerevoli: 130.000 riproduzioni digitali in formato Jpeg, su 500 CD-ROM, visibili in parte anche su Internet[xvi]. In dettaglio si è partiti da 5.000 foto a colori di mappe catastali, per proseguire con 25.000 scansioni a colori di disegni e pergamene e 100.000 scansioni in toni di grigio di registri. Si è così ottenuta la riproduzione dell’intero Catasto terreni e di molte delle planimetrie antiche; inoltre quella del Diplomatico, collezione al solito formata, per la maggior parte, da atti di enti, corporazioni ed ospedali soppressi. Il progetto nazionale Imago ha coinvolto altri istituti, tra cui l’Archivio di Stato di Milano che ha sviluppato la riproduzione di intere serie di mappe catastali, dal Teresiano al Nuovo Catasto Terreni, consultabili nella sala riproduzione (chiamata “sala consultazione media”) su alcune postazioni di PC[xvii] e l’Archivio di Stato di Torino che sta acquisendo 6.500 carte topografiche e disegni visualizzabili anche sul sito[xviii]. Anche l’Istituto per i Beni Culturali della regione Emilia Romagna ha realizzato un progetto denominato Imago, catalogo collettivo di opere grafiche di istituzioni emiliano – romagnole con il software Sebina multimedia (10.000 immagini)[xix].
Viste le esperienze in campo, come procedere? E’ proprio indispensabile, per valorizzare appieno la documentazione riprodotta in immagine, sfruttare le potenzialità di Internet?
Internet è visto da Stefano Vitali come “potente e veloce strumento di reference”[xx] per la ricerca di “informazioni di contorno” spesso bibliografiche. E posso testimoniare che usato in maniera mirata consente di guadagnare informazioni utili e molto tempo. Per quanto concerne le fonti di prova storica l’argomento è più controverso, almeno per i documenti prodotti su supporti non digitali, carte o pergamene. E’ il campo della “migrazione digitale”, della trasposizione delle fonti, è il terreno di questo odierno dibattito. Allora Internet acquista le caratteristiche d’archivio globale, in cui si riversa documentazione in serie, trasferendola da un formato ad un altro per permetterne la consultazione da qualsiasi luogo. E’ la fine degli archivi come siti fisici? Mi sembra prematuro e arrischiato dare una risposta.
Da parte mia tenderei a considerare il Web in modo più ridotto ed economico; anche Vitali accenna al perdurare, da una parte, di logiche istituzionali e disciplinari dall’altra, le quali tendono a smorzare l’entusiasmo informatico ed informativo. Il Web potrebbe costituire un punto d’incontro, il luogo di raccolta di corpora descrittivi e/o documentali: cataloghi, censimenti, inventari degli inventari, guide, collezioni virtuali anche, secondo un approccio non particolarmente rivoluzionario, che lo stesso Vitali mostra di apprezzare.
Nella riproduzione documentaria in rete ha larga prevalenza il materiale iconografico, le fotografie anzitutto, che nel 2002 erano attorno a 9 milioni. Per noi archivisti spicca però un limite, la debolezza del contesto catalografico, di provenienza e di riferimento di fronte all’indubbia suggestione evocativa delle immagini. Vitali, da parte sua, è preoccupato di non confezionare “pure e semplici icone, ma delle fonti documentarie, mirando, in primo luogo, a restituire in ambiente digitale il contesto archivistico nel quale sono incardinate”.
Alla base del successo delle iniziative di digitalizzazione avviate dagli istituti di conservazione è il criterio di selezionare ed estrapolare la documentazione da riprodurre: sicuramente catasti, raccolte diplomatiche, deliberazioni, ma anche censimenti, archivi anagrafici più alla portata di un pubblico amatoriale. Bisogna tener conto che basse ed alte definizioni, o altri accorgimenti, possono peggiorare o migliorare la resa del documento analogico. Andrea Zorzi arriva a chiamare le immagini “metafonti”[xxi] spesso arricchite da altre informazioni o accessi
Il Codice Diplomatico della Lombardia Medievale è un intervento basato sull’edizione diplomatica di pergamene attraverso processi di marcatura per la loro interpretazione e interrogazione. La presentazione di Michele Ansani è molto convincente, in qualche modo può ispirare la nostra azione, ovvero la creazione di un “corpus omogeneo”[xxii] in questo caso non “di fonti criticamente edite” ma di fonti trattate con criteri archivistici e possibilmente indicizzate. Proprio l’elaborazione, a partire dalle pergamene, di elenchi (ad es. notai, attori, testi, funzionari, rettori, ecc.) riuscirà quanto mai utile agli studi medievistici e contribuirà ad arricchire i corredi archivistici di strumenti spesso sottovalutati quali gli indici.
Certo, dobbiamo discriminare tra l’approccio e le possibilità d’intervento propri di un’università o di un piccolo istituto come un Archivio di Stato, aperto sempre al pubblico e scarso di funzionari ricercatori. Ogni progetto infatti deve fare i conti con la realtà e calibrare gli interventi cercando ovviamente partner e collaboratori. E mi rendo conto di come il progetto “Chiese, monasteri e ospedali: le pergamene piacentine sul computer” dal punto di vista strettamente archivistico appaia sui generis realizzando in effetti una banca dati spuria, una miscellanea virtuale rispetto a provenienze e contesti. Però ritengo che un’attività cosiffatta possa avere una sua ragione d’essere, anche di ordine metodologico. In più, la ricaduta divulgativa, secondo la mia esperienza, potrebbe essere notevole contribuendo ad accrescere la conoscenza della documentazione d’interesse storico e delle finalità proprie degli istituti di conservazione. Nel caso qui illustrato le spese da sostenere non sono enormi e la buona riuscita del progetto potrebbe funzionare da volano per operazioni più ambiziose, penso in particolare alla riproduzione sostitutiva di integrali serie iconografiche, quali le Mappe e disegni e il Cessato catasto per svariate migliaia di immagini, per non parlare dell’intero Diplomatico degli Ospizi Civili conservato in Palazzo Farnese.
In un recente seminario d’aggiornamento mi è stato ricordato che, secondo la Costituzione, è la Repubblica, cioè l’insieme degli organi costituzionali, e non lo Stato, il titolare della tutela dei beni culturali. Se nel 1948 si poteva intendere come frontiera culturale l’alfabetizzazione di massa, oggi si può sostenere che la promozione della cultura, auspicata nello stesso articolo 9, si faccia soprattutto attraverso la pubblica fruizione del patrimonio storico artistico. Ed è proprio la Repubblica nel suo insieme a farlo: gli organi costituzionali certo si occupano in primo luogo dei beni di loro proprietà, ma è doverosa la loro collaborazione nella valorizzazione di tutti i beni della Nazione. In una realtà tesa quindi alla cooperazione, il nuovo Codice dei beni culturali, riprendendo il Testo Unico e il nuovo titolo V della Costituzione, punta proprio alla collaborazione fra Stato, Regioni, Province e Comuni senza una rigida distinzione di proprietà. Ora, l’Archivio di Stato di Piacenza si adopera nel limite delle sue possibilità nella valorizzazione dell’ingente patrimonio posseduto, anche di quello di proprietà non statale, che costituisce più del 40% del patrimonio complessivo, una parte considerevole ascrivendo parte degli archivi storici del Comune, della Provincia, dell’ASL di Piacenza, nonché di numerose famiglie gentilizie. Tuttavia si trova a fronteggiare le restrizioni dei finanziamenti che comprimono la realizzazione delle numerose attività di funzionamento e di valorizzazione previste o prevedibili. Per ovviare a ciò, e per non ridimensionare anche gli obbiettivi già raggiunti, si deve perseguire la collaborazione con altri partner, quindi “favorire l’acquisizione di risorse private” e “forme di raccordo più attive tra i vari livelli di governo (Stato, Regione. Enti locali)” secondo le linee di criterio del Ministro per i Beni e le Attività Culturali. Questo istituto in qualche occasione ha già ottenuto collaborazione e contributi da fondazioni[xxiii], istituti bancari[xxiv] ed enti locali[xxv] per eventi culturali o, addirittura, per la realizzazione di progetti pluriennali di recupero e inventariazione di fondi archivistici.
Per proseguire in tal senso e per agire nella direzione sopraindicata, lo scrivente ha chiesto alla Regione Emilia Romagna di voler partecipare, anche con un contributo finanziario, elargito all’unico istituto archivistico aperto regolarmente alla pubblica fruizione, al progetto di valorizzazione del patrimonio pergamenaceo posseduto, in originale o in microfilm, denominato in modo un po’ roboante “Chiese, monasteri e ospedali: le pergamene piacentine sul computer”. Una prima tranche potrebbe riguardare circa 10.000 fotogrammi di documenti integrativi, cioè situati in sedi diverse (chiese e Archivi di Stato).
Presso la maggioranza degli Archivi di Stato italiani sta imponendosi un ambizioso progetto d’informatizzazione, ovvero il Sistema Informativo degli Archivi di Stato – SIAS, a cui anche l’Archivio di Stato di Piacenza ha aderito. Nell’intento di giungere ad una descrizione archivistica, almeno nei livelli alti, omogenea la banca dati in linea del SIAS prevede anche le descrizioni inventariali fra cui un modulo dedicato appunto alle pergamene e ai sigilli, sviluppato dal Servizio IV della D.G.A. e dall’Archivio di Stato di Palermo. La scheda descrittiva risulta complessa e prevede comunque un set minimo di campi obbligatori. Il responsabile del progetto informa che ogni scheda descrittiva è collegata con un file XML MAG (meta dati gestionali delle immagini) per la gestione delle riproduzioni digitalizzate qualunque sia il loro supporto digitale. Ovviamente, in questo caso, come negli altri di cui si è a conoscenza, il problema è l’investimento iniziale che, a fronte dell’acquisto di attrezzature o soprattutto a fronte degli incarichi professionali da commissionare, è assai cospicuo. I costi in effetti, e quindi la disponibilità di personale che vi lavori a lungo a tempo pieno, rendono un intervento del genere possibile solo a certe condizioni, grazie a un ingente investimento ministeriale distribuito su alcuni anni oppure al coinvolgimento di più enti con conseguente distribuzione dei costi
[i] La raccolta membranacea principale si trova presso l’Archivio di Stato di Parma.
[ii] L’ingente raccolta denominata Diplomatico degli ospizi civili (952-1839, con docc. dei secc. XVII-XIX) è depositata presso l’Archivio di Stato di Piacenza.
[iii] Le pergamene, relative all’ex Stato Landi di Bardi e Compiano, sono conservate a Roma presso la Galleria Doria Landi Pamphilj. Per l’edizione vedi Archivio Doria Landi Pamphilj. Fondo Landi. Regesto delle pergamene dall’865 al 1250, a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Parma, Deputazione di storia patria per le provincie parmensi, 1968 (Fonti e studi, serie I, n. 2).
[iv] Le pergamene, relative alla famiglia Zileri Dal Verme, sono conservate presso l’Archivio di Stato di Verona.
[v] Per il Corpus iurium del Comune di Piacenza vedi Registrum Magnum del Comune di Piacenza (Il), a cura di E. Falconi e R. Peveri, vol. 1 (doc. 1-273), Milano, Giuffré, 1984. Si possono citare senz’altri Falconi, Ettore. Le carte più antiche di S. Antonino di Piacenza (sec.VIII-IX), Parma, 1959 e Galetti, Le carte private della cattedrale di Piacenza, vol. 1 [784-848], trascrizione e introduzione di Paola Galetti, con uno studio sulla lingua e le formule di Giulia Petracco Sicardi, Parma, Deputazione di storia patria per le province parmensi, 1978 (Fonti e studi, serie I, n. 9).
[vi] Vedi < http://www.bibliotecarudiano.it/archivi.htm >.
[vii] < http://ada2.unipv.it/CDLweb/index.htm >.
[viii] < http://scrineum.unipv.it >. Scrineum opera nel campo più ristretto della paleografia e della diplomatica, quindi in ambito universitario e accademico (in collaborazione ad es. con l’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo) comprendendo anche un partner istituzionale come la Provincia di Pavia.
[ix] < http://archivi.beniculturali.it/ASRM/index.html>.
[x] < http://www.retimedievali.it/ >.Reti Medievali è un’associazione culturale Onlus che pubblica l’omonima rivista elettronica muovendosi nell’ambito delle Università di Firenze, Napoli, Palermo, Venezia e Verona.
[xi] < http://www.dssg.unifi.it/_PIM/CILMI >.
[xii] < http://www.dssg.unifi.it/_PIM/CILMI/ws04/default.htm >.
[xiii] < http://www.storia.unifi.it/_PIM >.
[xiv] Medium-evo. Gli studi medievali e il mutamento digitale. I workshop nazionale di studi medievali e cultura digitale, Firenze, 21-22 giugno 2001, A. Zorzi, Introduzione < http://www.storia.unifi.it/_PIM/medium-evo/ >
[xv] In < http://www.archiviodistato.firenze.it/progetti/attivite.htm#progettoimago >
[xvi] Vedi < http://www.asrm.archivi.beniculturali.it/descrizione.html >.
[xvii] Vedi la presentazione in < http://213.156.63.135/redir.html?pag=main.html >.
[xviii] < http://ww2.multix.it/asto/ricerca.htm >.
[xix] < http://minerva.sebina.it/SebinaOpacIMAGO/Opac >.
[xx] S. Vitali, Passato digitale. Le fonti dello storico nell’era del computer, Milano, B. Mondadori, 2004.
[xxi] Idem, p. 107.
[xxii] Il Codice Diplomatico della Lombardia Medievale (secoli VIII-XII), in M Ansani, Presentazione, < http://cdlm.unipv.it/progetto/ >.
[xxiii] Come non ricordare la Fondazione di Piacenza e Vigevano per il sostegno nel recupero degli archivi parrocchiali e di quelli privati gentilizi.
[xxiv] Spicca l’azione della Banca di Piacenza che ha contribuito alla realizzazione di ConferenzArchivio, ciclo di conferenze di storia locale.
[xxv] Negli ultimi il Comune di Piacenza – Settore Formazione ha sempre supportato le iniziative didattiche dell’istituto.
Ultimo aggiornamento
28 Febbraio 2024, 18:04