Piacenza in età moderna. ConferenzArchivio
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Giuseppe Cattanei, Considerazioni sui paratici piacentini e sui loro statuti
L’interesse allo studio degli Statuti degli antichi Paratici piacentini non è certo di oggi. Già nel 1955 un noto studioso piacentino sottolineava come «la storia delle organizzazioni che nel corso dei secoli si sono accentrate attorno al fenomeno umano di più saliente interesse, il lavoro, associato alle forze della produzione e dello scambio, nei più vasti significati che queste parole possono avere, riesce in ogni tempo, particolarmente suggestiva e densa di istruttivi ammonimenti e di prospettive». Purtroppo gli studi rivolti a questo settore così importante della vita, non solo economica, piacentina, non esauriscono l’ampiezza del fenomeno delle corporazioni delle arti e dei mestieri. Nel corso degli anni si sono in realtà succeduti alcuni articoli, il più delle volte però limitati alla trascrizione degli Statuti (trascrizioni comunque indispensabili per chi vuole approfondire gli studi relativi a queste realtà) o ad approfondimenti circoscritti solo ad alcune problematiche.
Gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso hanno segnato una svolta per la storiografia sulle corporazioni. In un saggio del 1996, si sottolinea come le corporazioni «tornate ad essere oggetto di crescenti interessi storiografici, sembrano sbucare improvvisamente dagli archivi con il loro bagaglio di testimonianze e documenti finalmente non più soltanto giuridici».
Su queste tematiche si intende non solo fare il punto storiografico, ma soprattutto si vogliono mettere in luce i nuovi aspetti che la ricchissima documentazione d’archivio e gli studi più recenti hanno portato all’attenzione degli storici.
L’ultimo decennio è trascorso nell’indagine dell’inesplorata documentazione che narra dei loro conflitti e nella scoperta delle molteplici chiavi di lettura con cui possono essere interpretati. Ruoli antagonistici recitati da maestri, garzoni e lavoranti, insolenti o intolleranti, indisciplinati o insubordinati; e ancora, conflitti intesi come manifestazione fisiologica dell’organizzazione corporativa, la cui gerarchia interna riproduce la stratificazione sociale, o come strumento di dialogo orizzontale e verticale, fra gruppi socio – professionali, da cui escono rafforzate le identità individuali e del gruppo. Insomma, saranno si spera gli archivi a fornire le risposte ai molti quesiti ancora aperti.
Micko Maria Alberti, Il mercato matrimoniale tra “cugini” in antico regime nella Diocesi di Piacenza
L’intervento si basa sulla ricerca archivistica svoltasi presso l’Archivio Storico Vescovile della Curia di Piacenza, nel periodo compreso tra la primavera del 1999 e l’autunno del 2001, che ha prodotto la tesi di laurea I matrimoni tra parenti nella diocesi di Piacenza (1749 – 1774).
Oggetto del presente studio è il fenomeno del mercato matrimoniale tra parenti nella suddetta diocesi, in antico regime.
La fonte archivistica primaria del lavoro è la Dispensa matrimoniale, di cui i promessi sposi dovevano essere necessariamente in possesso, laddove vi fosse stato tra loro un legame di parentela, noto alla collettività, entro il quarto grado di consanguineità o di affinità.
Si è scelto il 1749, anno dell’arrivo a Parma del Duca Filippo di Borbone, quale anno di inizio dello spoglio delle suddette dispense, che sono state tutte indicizzate e tradotte in tabelle che evidenziano sia i dati qualitativi sia quelli quantitativi di cui sono ricche. Ciò fino alla fine dell’anno 1774. La brevità del periodo preso in esame è conseguenza diretta della ricchezza del fondo: infatti relativamente ad un solo quarto di secolo le dispense che sono state prodotte dalla Sacra Curia Romana per la sola diocesi piacentina e che sono giunte sino a noi sono in totale 1123.
La specificità dell’argomento ha indotto, per ottenere più chiarezza possibile, ad articolare la relazione in due parti. La prima, introduttiva, è volta a contestualizzare il fenomeno, basandosi prevalente su fonti a stampa e su alcuni studi inediti. La seconda, vero corpo dello studio, consiste nell’analisi statistica ed analitica di tutte le dispense matrimoniali ancora conservate presso l’Archivio Vescovile di Piacenza, relativamente al periodo considerato.
La rilevante consistenza del fondo “Dispense matrimoniali/atti di matrimonio”, unita alla poliedricità della fonte “dispensa matrimoniale”, rende infatti possibile una dettagliata ricostruzione della pratica sociale dei matrimoni tra parenti e permette di evidenziare quali fossero, all’interno di questo segmento del mercato matrimoniale, le leggi che regolavano la pratica dello scambio delle donne.
Tramite lo studio dei dati qualitativi presenti nei “processetti” si è così constatato che alla base del fenomeno vi erano regole economiche ben precise, oltre ad un sistema di valori socio-familiari universalmente condivisi dalla collettività rurale, avente al proprio vertice il vicinato, l’amicizia e la parentela.
Infine, vengono studiate analiticamente le linee di discendenza degli sposi legati da una parentela di consanguineità di quarto e di terzo-quarto grado. Per perseguire tale fine sono state nuovamente utilizzate delle apposite tabelle in cui si intrecciano le 64 (nella parentela in quarto grado) e le 36 (in quella di terzo-quarto grado) combinazioni di discendenza possibili. Tramite questa specifica analisi delle catene di discendenza degli sposi, si è evinta la presenza di una precisa e consapevole volontà di mantenere viva la parentela, secondo progetti a lungo termine, di impronta non cognatico-indifferenziata, come sarebbe stato se gli scambi delle donne fossero stati casuali, bensì prevalentemente patrilineare e patrilocale.
Elena Gardi, Cultura e residenza aristocratica a Piacenza tra XVIII e XIX secolo: la famiglia Landi delle Caselle ed il palazzo di città
Tra gli ultimi decenni del Seicento ed i primi anni dell’Ottocento si assiste nella città di Piacenza ad un’intensa attività edilizia; sono costruiti e ristrutturati quaranta palazzi ed una nuova veste architettonica e pittorica arricchisce altre sessanta dimore signorili. Nell’arco di questi secoli, scrittori locali e forestieri descrivono Piacenza come una città che “ha edifizi publici e privati … da esserne superba qualunque più cospicua città”. Ancora oggi una decina di palazzi nobiliari sono abitati e conservati dai discendenti delle antiche casate che, tra XVII e XVIII secolo, ne commissionarono l’edificazione. Tra queste si deve annoverare la famiglia Landi delle Caselle, discendente dall’antica stirpe dei Landi che, a partire dall’epoca medievale ed unitamente ad altri grandi casati, ha guidato le sorti della lenta, progressiva stratificazione edilizia e dell’assetto giuridico, economico, politico e territoriale della città. All’inizio del Settecento i Landi delle Caselle possiedono un ingente patrimonio fondiario. Gian Battista (1643-1722), esponente di spicco del casato, si stabilisce in un antico palazzo situato lungo lo Stradone Farnese, un tempo stradone Gambara, il quale verrà quasi del tutto riedificato per volere del figlio Francesco Maria († 1769) con l’intento di erigere una dimora sontuosa e rappresentativa del prestigio e del potere acquisiti. L’imponente corpo di fabbrica, attualmente di proprietà della famiglia Landi di Chiavenna, è organizzato intorno a due corti ed affiancato da un giardino; quest’ultimo si estende ad ovest del complesso edilizio ed è caratterizzato da una peculiare disposizione planimetrica, a lato dell’edificio e in adiacenza alla strada. Austere cortine edilizie, caratterizzate da pochi raffinati inserti ornamentali, celano il “percorso d’onore” che dalla corte conduce allo scalone, alla galleria, al salone, ad ambienti arricchiti da pregiati apparati pittorici e decorativi, come si riscontra in numerose altre realizzazioni architettoniche piacentine del periodo. Il palazzo è frutto di interventi di ristrutturazione ed ampliamento intercorsi nell’arco di due secoli mediante l’acquisizione e l’accorpamento di singole unità abitative. I documenti che attestano tali lavori, datati a partire dal 1731, vedono protagoniste personalità emergenti nel campo dell’architettura e della pittura, operanti in diversi altri cantieri non solo locali. L’edificio diviene in tal modo testimonianza delle correnti stilistiche architettoniche che informano e guidano gli architetti e le maestranze a Piacenza tra i secoli XVIII e XIX, nonché dello spirito e della cultura del proprio tempo. Infatti, nell’ultimo quarto del secolo XVIII, la dimora si apre alla vita intellettuale e mondana divenendo culla di un vivace salotto letterario promosso dalla marchesa Isotta Landi Pindemonte († 1826). Dal 1773, gli incontri intellettuali della marchesa acquisiscono una crescente fama e le sale del palazzo diventano importanti luoghi d’incontro dell’élite sociale ed intellettuale non solamente locale. In questo periodo inizia a prendere forma e consistenza anche la ricca collezione di libri del marchese Gian Battista Landi (1734-1806), tra cui si annoverano pregiati manoscritti, codici e rare edizioni. Con testamento olografo datato 10 dicembre 1849, Ferdinando Landi (1778-1853) stabilisce che entro cinque anni dalla sua morte si riordini e si apra la biblioteca al pubblico. Nuovi interventi progettuali investono un’ala del palazzo ed un immobile attiguo di proprietà dei Landi, destinato ad ospitare quest’importante istituzione culturale, aperta al pubblico il 23 aprile 1866. Ma dopo soli sei anni di autonomia la Biblioteca Landi viene incorporata in quella Comunale, a seguito di una Convenzione stipulata con il Comune di Piacenza. Il lascito librario dei marchesi Landi arricchisce straordinariamente il fondo librario della Biblioteca Comunale e questo onorevole servigio offerto all’intera cittadinanza viene ancora oggi ricordato da un’iscrizione commemorativa esposta nel portico dell’edificio che ospita la biblioteca civica.
Bibliografia
Oltre a documenti consultati presso l’Archivio privato della famiglia Landi di Chiavenna; l’Archivio di Stato di Piacenza; l’Archivio Storico Notarile di Piacenza, la Biblioteca Comunale Passerini Landi; il Fondo Piancastelli di Forlì, la Biblioteca Ambrosiana di Milano, segnalo una bibliografia di massima:
1751, SALMON, Continuazione dell’Italia o sia descrizione del milanese, parmigiano, modenese, mantovano, e lombardo veneto, in “Lo stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo naturale, politico, e morale, con nuove osservazioni, e correzioni degli antichi, e moderni viaggiatori”, Vol. XIX, Venezia
1793-1805, BOSELLI V., Delle storie piacentine, Piacenza
1828, CATTANEI C., Descrizione dei monumenti e delle pitture in Piacenza corredata di notizie istoriche, Parma
1832-1834, MOLOSSI L., Vocabolario topografico dei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla, Parma
1841, SCARABELLI L., Guida di Piacenza, Lodi
1842, BUTTAFUOCO, Novissima guida della città di Piacenza, Piacenza
1861, GALLI L., Piccola guida della città di Piacenza, Piacenza
1862, MAFFI G., Notizie illustrazioni e pregio dei cinquanta mila volumi della Biblioteca Landi, Piacenza
1863, MAFFI G., Continuazione del Catalogo Scientifico della Biblioteca Landi, Piacenza
1889, MENSI L., Dizionario biografico piacentino, Piacenza
1909, NASALLI-ROCCA G., Per le vie di Piacenza. Ricordi di Storia Patria e Pensieri, Piacenza
1911, PERI S., Isotta Pindemonte-Landi e Ippolito Pindemonte a Piacenza, Pisa
1977, FIORI G., Vicende biografiche ed artistiche di Gaspare Landi, “Bollettino Storico Piacentino”, Gennaio/Giugno 1977, pp.30-81
1979, AA.VV., Società e cultura nella Piacenza del Settecento, Catalogo della mostra, Piacenza
1979, FIORI G., Le antiche famiglie di Piacenza e i loro stemmi, Piacenza
1979, MANFREDI C.E., La nobiltà in Piacenza. Profilo storico di un ceto, Piacenza
1979, MATTEUCCI A.M., Palazzi di Piacenza dal Barocco al Neoclassico, Torino
1980, AA.VV., Storia di Piacenza l’Ottocento, Vol.V, Piacenza
1980, AA.VV., Storia di Piacenza dai Farnese ai Borbone 1545-1802, Vol. IV, Tomo I-II, Piacenza
1984, DEZZI BARDESCHI M., Gotico Neogotico Ipergotico. Architettura e arti decorative a Piacenza, catalogo della mostra, Bologna
1985, ARISI F., Atrii, cortili, giardini, Piacenza
1985, COCCIOLI MASTROVITI A., Un architetto piacentino tra classicismo e romanticismo: Paolo Gazola (1787-1857), in Archivio Storico per le Province parmensi, XXXVII, pp.86-100
1986, CASALI DI MONTICELLI I., CASTELLI I, SCARAVELLA A., Giardini storici piacentini, Piacenza
1991, COCCIOLI MASTROVITI A., Horti conclusi e giardini patrizi, in AA.VV., “Architettura d’acque in Piacenza, secoli XVI-XIX”, catalogo della mostra, Piacenza, pp.29-70
1992, FIORI G., Nuovi documenti su Gaspare Landi, “Strenna Piacentina”, pp.108-132
1992, RICCO’ SOPRANI L., Inediti di Bartolomeo Rusca, in “Strenna piacentina”, pp. 75-85
1995, COCCIOLI MSTROVITI A., Il palazzo dei marchesi Landi di Chiavenna a Piacenza: organizzazione degli spazi e delle funzioni”, in “Strenna piacentina 1995”, pp.117-124
1995, SIMONCINI G. (a cura di ), L’uso dello spazio privato nell’età dell’illuminismo, Firenze
1996, POLI V., Attività edilizia e disciplina urbanistica nel periodo farnesiano borbonico (prima parte) in “Strenna piacentina”, Piacenza, pp.19-28
1997, POLI V., Attività edilizia e disciplina urbanistica nel periodo farnesiano borbonico (seconda parte) in “Strenna piacentina”, pp.35-49
1999, AA.VV., Piacenza la città e le piazze, Piacenza
2000, AA.VV., Dizionario biografico piacentino, Piacenza
Gianluca Cò, Processi di aristocratizzazione a Piacenza tra Quattrocento e Cinquecento: la famiglia Rossi, per ConferenzArchvivio. Piacenza in età moderna, Piacenza, Archivio di Stato 13, 20 e 27 maggio 2004.
Alle soglie del secolo XV il sistema di liberi comuni che aveva caratterizzato il panorama politico dell’Italia centro-settentrionale, è ormai un ricordo; nell’area padana una nuova tipologia di centro ha preso il sopravvento: le città capitali.
In questo contesto, tuttavia, i ceti dirigenti locali riuscirono non solo a conservare parte delle prerogative di cui godevano in passato, ma anche a sfruttare nuove opportunità di affermazione sociale. Se, infatti, da un lato, i sistemi di governo oligarchici a capo delle varie città non vennero messi radicalmente in discussione, dall’altro, il sistema di dedizioni a un nuovo e più potente signore diede luogo a fenomeni di promozione sociale prima impensabili, a testimonianza di come la mobilità sociale, elemento peculiare del mondo urbano italiano tra il Tre-Quattrocento, riguardasse anche i ceti nobiliari.
Le nuove Signorie insediatesi nei maggiori centri dell’Italia centro-settentrionale – Milano, Ferrara, Mantova – si erano appoggiate, nella costituzione di un loro apparato di governo, alle istituzioni preesistenti e, in particolar modo, ai gruppi di famiglie di maggior importanza, cercando di approfittare dei legami saldi che queste avevano stretto con le realtà locali.
Il mantenimento dello status quo da parte dei membri della nobiltà e il processo di aristocratizzazione, tendente a limitare l’accesso al potere da parte di elementi provenienti dalle fila della borghesia cittadina, non è, comunque, sinonimo di interruzione di ogni dialettica sociale. Proprio la città di Piacenza è la dimostrazione di come, in pieno Quattrocento, i ceti medi della popolazione urbana riuscirono ad approfittare di situazioni contingenti per ritagliarsi spazi di potere importanti nel tessuto sociale urbano.
Aderenza a una delle squadre in cui era organizzata la società piacentina, assidua presenza tra i membri dei Consigli cittadini (Consiglio Generale e Consiglio degli Anziani), partecipazione alle societates che gestivano gli appalti per l’assegnazione delle gabelle e degli uffici minori, rapporto il più possibile diretto ed esclusivo con il centro del potere, opportunismo politico e spregiudicatezza economica, furono i principali mezzi attraverso i quali le famiglie piacentine, che ne avessero i mezzi, riuscirono a conquistare una posizione di primo giungendo, è il caso dell’agnazione dei Rossi, a ottenere il massimo riconoscimento: il titolo nobiliare.
Sul finire del Quattrocento la famiglia in questione fa ormai parte stabilmente del novero delle maggiori casate piacentine.
Come altri gruppi famigliari aspiranti a migliorare la propria condizione sociale, i Rossi cercarono di approfittare della presenza di Piacenza all’interno di una vasta compagine territoriale come lo Stato visconteo-sforzesco. La maggior parte delle principali casate cittadine non riuscì in questo intento, ma fu costretta ad accontentarsi degli spazi di manovra residui, non occupati dalle famiglie nobili, cercando di volgere a suo favore i momenti di crisi attraversati da queste ultime.
La scelta vincente, a Piacenza, fu quella compiuta proprio dai Rossi, grazie soprattutto ad Antonello, che ottenne, alla metà del secolo XV, il titolo comitale quale conseguenza del servizio reso nell’esercito di Francesco Sforza.
Stefano Quagliaroli, La cucina aristocratica a Piacenza e a Parma tra XVII e XIX secolo
Esistono certamente molti modi di avere un approccio con la storia della cucina nei secoli, ma due sono quelli che si possono riassumere: il primo ha uno sguardo sostanzialmente materiale, si occupa di alimenti e di comportamenti a tavola, di merci che vanno a comporre il pasto durante i secoli; c’è invece un modo più specialistico, che analizza la cucina nei suoi molteplici strati. Quest’ultimo metodo opera una sorta di carotaggio profondo, utilizza i dati materiali per comprendere i comportamenti innanzitutto dei cuochi, di coloro che creano il pasto e lo propongono ai destinatari finali, siano essi nobili, borghesi o monarchi. La storia della cucina in Italia si fa (e si farà, perché probabilmente siamo ancora agli albori, nonostante i grandi contributi portati da Montanari, Camporesi, Faccioli ed altri) partendo da Martino da Como, il più grande tra i cuochi del Medioevo, e dalla sua opera formidabile che ebbe il merito di raccogliere il sapere gastronomico del suo tempo e di trasmetterlo a Bartolomeo Platina, l’umanista al servizio dei papi, tanto più colto di Martino, capace di imporre il sapere italiano anche in ambito culinario. Ecco, proprio su questa piattaforma culturale, la cucina aristocratica della pianura padana con le sue corti (Milano, Mantova, Ferrara, Piacenza prima e Parma poi, ecc.) cominciò la sua evoluzione che passò per Bartolomeo Stefani e Bartolomeo Scappi, si misurò con suggestioni esterne (il Mediterraneo, ma soprattutto la Francia, a partire dal Seicento) e finì per inaridirsi in formule ripetitive, purtroppo, mentre la fine dell’Antico Regime diede l’opportunità alla Parigi della Rivoluzione di incubare la Grande Cucina borghese che avrà il suo culmine con Escoffier. Dentro questa cornice, le terre ducali di Parma e Piacenza probabilmente si adattarono a questo divenire, pur con le loro peculiarità ed i loro protagonisti. Tra i documenti che ci aiutano a ricostruire questa storia della gastronomia ducale, ce ne sono alcuni importantissimi: Li quattro banchetti … di Carlo Nascia, al servizio dei Farnese nel XVII secolo, le carte relative al servizio di corte di Maria Luigia e il curiosissimo manoscritto di Luigi Naldi, cuoco di casa Scotti. Dalla lettura di questi fogli emerge un quadro assolutamente affascinante, fatto di materie prime assai ricercate ma diverse da oggi, radicalmente, di grandi capacità professionali, di banchetti con finalità sia diplomatiche sia spettacolari.
Bibliografia
Aron J.P., La Francia a tavola dall’Ottocento alla Belle Epoque, Torino, Einaudi, 1978
Artocchini C. (a cura di), 400 ricette della cucina piacentina, Piacenza, 1985
Artusi P., La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, Torino, Einaudi, 1970
Braudel F., Cultura materiale, economia e capitalismo, vol. I, Le strutture del quotidiano, Torino, Einaudi, 1982
Camporesi P., Il brodo indiano, Milano, Garzanti, 1990
Capatti A., De Bernardi A., Varni A., Storia d’Italia, Annali 13, L’alimentazione, Torino, Einaudi, 1998
Courtine R. J. (a cura di), Nouveau Larousse Gastronomique, Parigi, Larousse, 1967
Escoffier A., Guida alla grande cucina, Franco Muzzio Editore, 1990
Faccioli E., L’arte della cucina in Italia, Torino, Einaudi, 1987
Guarnaschelli Gotti M. (a cura di), Grande enciclopedia illustrata della gastronomia, Milano, Selezione del Reader’s Digest, 1990
Imbriani L., Storia e storie dei salumi tipici piacentini, Piacenza, Tip.Le.Co.
Johnson H., Il vino. Storia tradizioni cultura, Franco Muzzio Editore, 1991
Marchesi G, Vercelloni L., La tavola imbandita. Storia estetica della cucina. Bari, Laterza, 2001
Missieri B., La tavola dei Farnese, Piacenza, 1998
Montanari M., La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa. Bari, Laterza, 1994
Nascia C., Li quattro banchetti destinati per le quattro stagioni dell’anno, Arnaldo Forni Editore 1981
Redon O., Sabban F., Serventi S., A tavola nel Medioevo, Bari, Laterza, 1994
Roversi G. (a cura di), La magnifica cucina. Fasti e vicende della tavola in Emilia e Romagna, Bologna, L’inchiostroblu 1995
Sarti R., Vita di casa. Abitare, mangiare, vestire nell’Europa moderna,Bari, Laterza, 1999
Schivelbusch W., Storia dei generi voluttuari, Milano, Bruno Mondadori, 1999
Somogyi S., L’alimentazione nell’Italia unita, in Storia d’Italia, vol. 5, I documenti, pp. 841-887, Torino, Einaudi, 1973
Unwin T., Storia del vino, Roma, Donzelli Editore, 1993
Zannoni M., A tavola con Maria Luigia. Il servizio di bocca della Duchessa di Parma dal 1815 al 1847, Parma, 1991
Susanna Pighi e Carla Longeri, Ambienti piacentini tra Barocco e Neoclassicismo
Punto di partenza obbligato, per l’individuazione delle scelte attuate in materia di arredamento nelle dimore piacentine tra Sei e Ottocento, è la consultazione degli inventari di beni mobili stilati per lo più in occasione di pratiche ereditarie, ed è fondamentale se si considera l’assoluta rarità di ambienti antichi conservatisi intatti. Di particolare interesse sono risultati quelli delle famiglie Scotti, Marazzani Visconti, Barattieri e Baldini, reperibili nei fondi gentilizi depositati presso l’Archivio di Stato di Piacenza.
Se per il periodo più antico le indicazioni relative al mobilio, piuttosto scarne, non consentono di condurre un’indagine sistematica, gli inventari a partire dal secondo Seicento appaiono più dettagliati riguardo alla distribuzione degli spazi e testimoniano il sopraggiungere di una precisa attenzione per l’arredo, il decoro ed il collezionismo. Per quanto riguarda le tipologie, la più significativa impressione che ricaviamo dalla lettura delle fonti è quella di una maggior varietà.
In periodo barocco alcuni ambienti dell’abitazione assunsero importanza predominante e il desiderio di esibire i fasti del casato trovò precise rispondenze non tanto nei prospetti delle abitazioni quanto negli scenografici apparati messi a punto per gli interni. Tra ’600 e ’700 si avviò in città la costruzione e la ristrutturazione di numerose abitazioni signorili, complici le possibilità economiche del ceto nobiliare e le sempre più sentite esigenze di rappresentanza stimolate anche dagli importanti interventi esornativi in Palazzo Farnese. Nella residenza ducale arredi e decori di grande pregio e di forte impatto visivo contribuirono in modo sostanziale a fornire alle stanze, fossero esse di rappresentanza o di più privata fruizione, un aspetto sontuoso.
Durante la prima parte del XVIII secolo gli ambienti rispondevano ancora a istanze barocche per l’opulenza delle stoffe spesso in tonalità scure e la sovrabbondanza delle dorature, ma un orientarsi del gusto locale verso nuove direzioni era già adombrato, ad esempio, nell’elenco di arredi stilato in morte del canonico Gian Antonio Baldini nel 1726.
Dal terzo decennio l’amore per l’esotico venne introdotto da artisti di respiro cosmopolita temporaneamente a Piacenza, che diffusero in città le tendenze stilistiche del momento. Il processo di mutamento assunse contorni definiti con la diffusione della coeva cultura francese dell’arredo, potenziata dal passaggio di Parma e Piacenza ai Borbone nel 1748.
Negli inventari, in parallelo al moltiplicarsi delle tipologie, variò in fase barocchetta la nomenclatura relativa al mobilio: scorrendo le carte d’archivio si ha notizia, ad esempio, di “burò”, “tremò”, “mezzi tavolini” ed altri arredi “con piedi di capra”, canapè e sediame in canna d’India. La policromia di molti pezzi dell’epoca appare in sintonia con i canoni estetici imposti dalla moda del Settecento.
Le fonti restituiscono testimonianze anche su molti pezzi intarsiati: il favore incontrato dall’arte del commesso in diverse realtà dell’Italia settentrionale negli ultimi decenni del secolo trovò, infatti, un forte riscontro a Piacenza. I numerosi arredi sacri e profani giunti sino a noi comprovano ancora oggi l’indubbia esistenza di una proficua scuola locale d’intarsio, la cui fioritura si protrasse sino a Ottocento inoltrato.
Ultimo aggiornamento
28 Febbraio 2024, 18:03