A regime: storia dell’alimentazione a Piacenza tra le due guerre

Nell’ambito dei Giovedì dell’Archivio, il 15 maggio 2025 dalle ore 17.30 l’Archivio di Stato di Piacenza ospita la presentazione del libro A regime: storia dell’alimentazione a Piacenza tra le due guerre, di Laura Bricchi, in dialogo con Anna Riva.

La curiosità che ha dato origine al saggio nasce proprio tra le mura di Palazzo Farnese, dove l’Autrice ebbe occasione di visitare la mostra Carte da cucina, organizzata tra l’11 ottobre 2020 e l’11 febbraio 2021, soffermandosi nello specifico sulla sezione dedicata ai menu dei locali piacentini raccolti dalla Prefettura nel 1918 e ora conservati in Archivio di Stato.

Ma non furono tanto le pietanze elencate a destare interesse quanto quelle la cui assenza risultava ancora più sorprendente: il mondo della ristorazione non offriva nessuno dei piatti oggi considerati caratteristici del territorio.

Incomincia da quello spunto una ricerca documentale che riconduce al fascismo il concetto di “prodotto tipico”, ideato in funzione dell’ideologia autarchica e propagandato nell’ottica di mascherare, tramite la valorizzazione del prodotto locale, il progressivo svuotamento dei poteri degli enti locali.

D’altro canto, la promozione del consumo di specifici alimenti rispondeva anche a una necessità pratica e si focalizzava sui cibi effettivamente disponibili: poiché il grano scarseggiava, il regime suggeriva ricette a base di riso; poiché la carne era un lusso inaccessibile per i più, veniva proposto il pesce (anche grazie all’invenzione, in quegli stessi anni, dei dispositivi che consentivano la refrigerazione); mancando la materia prima per fare il brodo di carne, venivano sintetizzate alternative come il dado Liebig. Interi ricettari insegnavano a sostituire gli ingredienti non disponibili e a cucinare con i surrogati.

Pubblicità e ricettari erano rivolti alle donne: si tratta di una novità, in quanto in precedenza i manuali di cucina erano rivolti alla cucina “alta”, legata a eventi ufficiali, di rappresentanza e di lavoro. Le famiglie, anche benestanti, non avevano l’abitudine di uscire a mangiare, nemmeno nelle occasioni di festa, che venivano celebrate in casa: la circostanza più comune che rendesse necessario mangiare fuori erano i viaggi (legati a necessità e non a turismo).

Il concetto di viaggio turistico viene anch’esso ideato dal fascismo: l’introduzione del “sabato fascista” lasciava alle famiglie del tempo libero, che poteva essere impiegato per gite e piccoli viaggi. La guida del Touring Club del 1931 include negli itinerari delle proposte alimentari e indica quali piatti si potessero assaggiare in ogni destinazione. Nasce così l’abitudine di “mangiare fuori” associata allo svago e non più al lavoro o alla necessità.

Nel 1938 l’idea di “prodotto tipico” è ormai consolidata, tanto che a Roma viene allestita, nel Circo Massimo, la prima Fiera dell’Alimentazione, voluta da Mussolini e organizzata dall’Opera nazionale del dopolavoro. All’interno del cosiddetto “villaggio rustico” erano raccolti vari stand di tipicità locali: in un periodo in cui viaggiare non era facile, l’evento costituì una grossa novità.

La ricerca è inoltre corredata da quattro interviste a persone che hanno vissuto gli anni in esame a Piacenza e nella provincia, ma in contesti sociali e in località differenti: i loro ricordi del quotidiano e delle feste raccontano abitudini alimentari molto diverse.

Ultimo aggiornamento

22 Maggio 2025, 11:26